La strategia della delegittimazione,
officiata dai sacerdoti della contemporaneità, consiste nel declassare i
linguaggi espressivi tradizionali, tra questi l'incisione, al livello di mere
tecniche esecutive e pertanto sostituibili con altre tecniche più aggiornate ed
efficaci rese disponibili dal progresso, appunto tecnico, ma secondo
l'avvertimento di Giacomo Leopardi «tutto si è perfezionato da Omero in
poi, ma non la poesia».
Effettivamente anche oggi ammiriamo
una poesia scritta mille anni fa, ma nessun medico penserebbe di poterci curare
solo con purghe e salassi come usava ai primordi della medicina. I progressi
della scienza non sono obbligatoriamente trasferibili in tutti i campi della
creazione umana: sappiamo quanto il titanio sia resistente alla corrosione, ma
non è che dalla sua scoperta nel 1789 e dall'inizio del suo uso industriale nel
1946 gli amori o le amicizie siano divenute più durature. La "Teoria delle
Stringhe" non ha cambiato il modo di allacciarci le scarpe e le nano
tecnologie non hanno migliorato la poesia.
Con grossolano sarcasmo intendo dire
che i sentimenti primordiali permangono immutati, per questo i versi d'amore di
Saffo risultano sempre attuali e le "Carceri d'invenzione" di
Piranesi continueranno ad inquietare. Vi sono aspetti della nostra esistenza,
riguardanti i sentimenti e le emozioni, che sono senza tempo e un'opera d'arte
deve "anche" coinvolgerci emotivamente, riuscire a toccare corde
(empatia o neuroni specchio) che riescono a vibrare attraverso il "non
detto". Altrimenti resta "solo" l'enunciazione di concezioni
attraverso "battute" più o meno sagaci o salaci.
Per questo non ha senso chiedersi se
oggi sia più all'avanguardia questo o quell'artista, questa o quell'opera, questa o quella tecnica...
Con arroganza innovativa la
contemporaneità pretende che sia tradotto in arte il caos del mondo.
Forse non è meglio cominciare a
chiedersi se non sia un più autentico principio di verità opporsi a quel caos ed
esprimere nella bellezza il migliore adeguamento al nostro tempo?
La bellezza si apprende, si impara a
riconoscerla solo se qualcuno inizia ad additarla e alla fine diventa una
consuetudine che rende più felice la civiltà che la possiede.
Tutti crediamo nella bellezza e
tentare di definirla senza esitazioni è rischioso almeno quanto far ricorso al
relativismo del «pulchrum est quid placet» ed anche questa è una porta che
prima o poi dovrà essere riaperta. Non è possibile che tutto nell'arte debba
essere giustificato o reso interessante.
Quale progresso esprime un linguaggio
che implode in modo autoreferenziale, escludendo la possibilità di essere
compreso?
Mi rendo conto di mettere in
discussione cosa è "giusto" e dove sta la "verità" e so
bene che è impossibile rispondere agli interrogativi sulla verità e sulla
bellezza una sola volta e per sempre. Credo però che per gli artisti sia utile
porseli e tentare di dare una risposta, pur temporanea e provvisoria, con la
realizzazione della loro opera.