Giovanni Battista Piranesi
LA RUOTA GIGANTE
Tav. 9 dalle “Carceri d’invenzione”,
seconda edizione 1761 circa
acquaforte, mm 550 x 405
Ancora una volta uno
studente dell’ultimo anno di Accademia ci ha inviato il link al suo sito
invitandoci a visionare le sue incisioni per esprimere un parere e dargli
qualche consiglio per farsi conoscere.
In passato sono stato
sempre ben attento nel dare risposte a simili richieste perché è veramente
difficile dare consigli costruttivi. Ho sempre cercato di non risultare del
tutto scoraggiate, né di incoraggiare troppo alimentando facili aspettative
perché il giovane artista tende ad interpretare tutto come un vaticinio.
Rispetto ad un anno addietro
(oltre alla chiusura di altre gallerie) non ci sarebbe nulla di diverso da
dire, tuttavia, negli ultimi tempi, ho accumulato un eccesso di cinismo che
provo a smaltire riversandone buona parte (un po’ è sempre meglio mantenerlo di
scorta) in questa risposta.
Caro Giovane Artista,
Innanzitutto se sei
approdato a questo blog è perché ti sei incapricciato dell’incisione, ma se
aspiri alla vetta del “sistema” dell’arte contemporanea è meglio che non si
sappia: continua pure a incidere se ti diverte ma non impantanarti in questo
campo dove resteresti invischiato a divincolarti invano per il resto della
vita.
In ogni caso è da ingenui
pensare che per farsi conoscere basta andare in giro con il book o con
in cartella i lavori da mostrare e, ancor peggio, inviare e-mail a tutti i siti
reperibili in rete, sperando di incontrare chi apprezzando il tuo lavoro si
interessi per promuoverlo.
Purtroppo non funziona
così, non più, non oggi.
Se chiedi a qualcuno di
poter mostrare il tuo lavoro, stai già dimostrando di essere uno che ha bisogno
di farsi conoscere, uno sfigato che si auto-promuove, inoltre autorizzi
l’ultimo cazzone di gallerista a sentirsi un Gagosian.
Per affermarsi
artisticamente occorre stabilire relazioni amicali (nel senso di Facebook, non
in senso proprio) dando per scontato che tu sia già un artista di qualità
avviato al successo.
Non presentarti mai
direttamente, occorre sempre un “Mi manda Picone”: da conoscente a conoscente
si arriva a coloro che possono fare la differenza.
Non si creda che sia un ambiente
solo per raccomandati, tutt’altro: occorrono capacità di relazionarsi non
comuni, ma non è vero che se il tuo lavoro è di assoluta qualità sarà
riconosciuto comunque, perché in questo campo nessuno rischia su qualcuno che
non gli sia stato segnalato da qualcun altro.
Non avere fretta, ma neanche crogiolarsi nell'attesa che qualcuno ti scopra e neanche cedere alla tentazione
del primo che ti propone di partecipare ad una mostra; credimi: meglio niente se non è il migliore
gallerista o curatore del momento perché la verginità è ancora un frutto
prelibato.
Puntare direttamente alle
Biennali internazionali, ma nel campo dell’arte contemporanea vi sono
interessanti concorsi/borse di studio che consentono un accesso privilegiato,
però prima occorre darsi da fare per conoscere i curatori e dopo potrai
partecipare con qualche chance.
La promozione di sé passa
attraverso l’intreccio di relazioni interpersonali che sono indipendenti, per
non dire indifferenti, dalla qualità del lavoro svolto, in pratica, si possono
anche fare delle Gran Minchiate perché tutto dipende dal “contesto”
secondo una logica che è ben esemplificata nel post FACCIAMO UN GIOCO.
Scegliti un qualsiasi
linguaggio alla moda evitando le forme espressive tradizionali perché ormai un
quadro se è dipinto male lo capisce anche un critico e, forse, anche un
curatore; se poi t’inventi una trovata del tipo “esposizione di pietre delle
quali ho sentito la voce che mi invitava a raccoglierle” sei a posto per il
resto della vita… qualunque cosa sia fa sempre effetto se è realizzata da un
tuo assistente.
Occorre ambizione,
intraprendenza e “faccia tosta”.
Le critiche cattive possono
venire solo dai tuoi stessi colleghi, dagli altri artisti che puntano a scavalcarti,
ma nessun critico scriverà male perché le stroncature non si usano più e si
preferisce fare l’elogio del proprio orticello invece di perdere tempo a
criticare l’erba del vicino.
La possibilità di essere
smascherati è minima e se mai qualche critico, risentito perché gli hai
trombato la moglie, dovesse svelare che è tutto un bluff sarà troppo
tardi perché, nel frattempo, gli interessi che si sono sviluppati intorno ai
tuoi lavori, sono tali da costituirne una solida impalcatura di sostegno.
Invece quel che potrebbe
stroncarti la carriera, Oh Fulgida Stella, è, se si coprisse, per esempio, che
sei un pittore veramente capace di dipingere, che sai disegnare e che incidi
personalmente le tue lastre. Allora saresti sputtanato e deriso, precipiteresti
nella disillusione e la caduta sarebbe irrecuperabile; sarebbe la vendetta
degli altri artisti, anche loro in cerca di successo, che hanno visto il
collega risplendere e godono nel vederlo disfatto.
Da questo punto di vista
l’arte può sembrare una brutta faccenda fatta di prevaricazioni, qualcosa di
losco, una via spiccia per il successo e la vedetta sul genere umano, la
speranza di guadagnarsi una fama con poco sforzo, tentando la fortuna come
partecipando al casting di
selezione per il Grande Fratello, con in più il sospetto che al fondo ci
sia un imbroglio.
La strada, pur con qualche
esasperata semplificazione, è questa indicata, quanto alla meta è facile
illudersi di averla raggiunta al primo invito ad una qualche biennale, ma
queste rassegne sono più dei tritacarne infatti del 99% dei giovani invitati
non si hanno più notizie (lo sforzo non è tanto quello creativo di inventarsi
una nuova stronzata, ma quello di mantenersi a galla); tuttavia se proprio ti
ripugna imboccarla e qualora tu non sia un pedissequo e sottomesso ripetitore
di stereotipi (paesaggio, paesaggio con cascina, paesaggio con cascina sotto la
neve…) puoi continuare a fare le incisioni che ti appassionano (in verità
nessuno può impedirti di incidere anche se sei il più arruffone dei dilettanti),
comunque, in ogni caso, scordati l’idea che stai facendo dell’arte, perché è
un’idea che da un canto può inibire, essendo come stare costantemente sotto
esame, dall’altro è un’idea con la quale è facile gonfiarsi l’io a dismisura
con conseguenze rovinose sul piano psicopatologico, inoltre, come abbiamo
visto, può esaltare la speranza connessa con il colpo di fortuna che con
l’incisione non verrà mai.
L’incisione può darti da
vivere, ma oggi non si può vivere “facendo” soltanto incisioni (capirai presto la
distinzione, neanche tanto sottile).
Dovrai mettere in conto che
in questo campo è difficile imparare il mestiere, si sarà sempre alla prime
armi, e se uno ritiene di averlo imparato è meglio che smetta.
Forse è proprio per questo
che chi riesce a conquistare lo stipendiuccio statale nella scuola
smette di incidere, essendo il “docente”, per definizione, uno che possiede il
mestiere. Io non credo che sia questa la reale motivazione (troppo nobile) ma
ti ho servito un buon alibi anche per una diversa scelta futura.
Buon Lavoro.