venerdì 20 dicembre 2013

DI CARTA/PAPERMADE

Biennale Internazionale di Opere di Carta

Palazzo Fogazzaro
Schio (VI), Italia
21 dicembre 2013 - 22 febbraio 2014

(Dal comunicato stampa)
Carta, carta e ancora carta. Al posto di tele, marmo o legno, di video o performance.

La carta, materia ‘povera’ e veicolo di cultura per eccellenza, è il Leitmotiv di questa esposizione.

Come la tela o la materia prima da manipolare e trasformare in opera d'arte, la carta suscita ispirazione, veste emozioni, si carica di sensi.
Artisti di 29 Paesi. Background culturali, stili, linguaggi che si incontrano e dialogano dando sostanza e colore ai leggeri paesaggi dell’immaginazione. Libri d’artista, stampe, installazioni. Varietà e Leitmotiv nel nome della carta.
La mostra – di grande fascino e respiro – aprirà a Palazzo Fogazzaro, nel centro di Schio e di un’area, l’Alto Vicentino, che oltre alla celebre fioritura dell’industria tessile vanta nella sua storia una dinamica attività di cartiere e la stampa di preziosi incunaboli.
DI CARTA/PAPERMADE è organizzata dal Comune di Schio e curata da Valeria Bertesina.
È un’ampia mostra collettiva di opere di carta, suddivisa in 3 aree: stampe d’arte, libri d’artista e installazioni.

Partecipano 79 artisti, italiani e stranieri.
Artisti:
Hiroko AKASAKA, Marina BANCROFT, Manuela BEDESCHI, Charles BENEKE , Maria Pina BENTIVENGA, Guillermo BERMAN, Valeria BERTESINA, Sergio  BIGOLIN, Dare BIRSA, Sarah BODMAN, Nedda BONINI, Marie Christine BOURVEN, Sandro BRACCHITTA, Lukas BRADACEK, Jiri BRAZDA, Giovanni BUOSI, Mirta CACCARO, Vito CAPONE, Angela CAPORASO, Daniela CATALDI, Ferdinando COLORETTI, Angelica DE GUGLIELMI, Ariel DE GUGLIELMI, Edvin DRAGICEVIC, Mary FARREL, Altina FELICIO, Marco FERRARI, Manuela FILIACI, Peter FORD, Antonio FREILES, Jose FUENTES, Judith GHASHGHAIE, Oscar GILLESPIE, Chiara GIORGETTI, Fabio GUERRA, Caroline HALFORD, Sean HANRAHAN, Valgerdur HAUKSDOTTIR, Victor Manuel HERNANDEZ CASTILLO, Valeriu HERTA, Cvetka HOJNIK, Mary HOLLAND, Terny HURSTI, Aya IMAMURA, Sanna JARVELA, Marianne KEATING, Kalina Kraleva HRISTOVA, Joanna LATKA, Liviana LEONE, Margherita LEVO ROSEMBERG, Li CHEN, Mirco LUZZI, Vittorio MANNO, Fernando MASONE, Zdravko MICANOVIC, Zeljka MICANOVIC MILJKOVIC, Octavian MICLEUSANU, Denise MINGARDI, Ibhraim MIRANDA, Elena MOLENA, Giovanbattista NITTI, Ming Ming NIU, John O’BRIEN, Hilda PAZ LEVOZAN, Vincenzo PIAZZA, Pino POLISCA, Teresa POLLIDORI, Fernando REA, Maria Reina SALAS, Angelo RIZZELLI, Miran SABIC, Concha SAEZ, Lucio SCORTEGAGNA, ANASLADETIC, Florin STOICIU, Natalia TAMAYO, Rocco TAMBLE', Thui TO TRAN BICH, Marina VIDALI.

Inaugurazione:
Sabato 21 dicembre, h.16.30
Apertura:
Mercoledì, h.10.00 – 12.30
Venerdì, h. 16.00-19.00
Sabato e domenica, h.10.00 -12.30 e 16.00 – 19.00

Link:
http://www.metaprintart.info/cultura-grafica/11039-opere-di-carta-una-mostra-fuori-dai-canoni/

domenica 15 dicembre 2013

AUTORITRATTI

Lanfranco Lanari
L’acquisizione di una nuova incisione è l’occasione per ri-segnalare la pagina AUTORITRATTI e invitare a far parte della galleria.

lunedì 2 dicembre 2013

(S)CONSIGLI A UN GIOVANE ARTISTA



Giovanni Battista Piranesi
LA RUOTA GIGANTE
Tav. 9 dalle “Carceri d’invenzione”, seconda edizione 1761 circa
acquaforte, mm 550 x 405














Ancora una volta uno studente dell’ultimo anno di Accademia ci ha inviato il link al suo sito invitandoci a visionare le sue incisioni per esprimere un parere e dargli qualche consiglio per farsi conoscere.
Nel post COME FARSI CONSIDERARE AFFERMATI INCISORIDI SUCCESSO sono contenuti i suggerimenti per chi è già, in qualche modo, nel “giro”, ma per chi deve ancora iniziare si ripropone una situazione identica al post BUON COMPLEANNO.
In passato sono stato sempre ben attento nel dare risposte a simili richieste perché è veramente difficile dare consigli costruttivi. Ho sempre cercato di non risultare del tutto scoraggiate, né di incoraggiare troppo alimentando facili aspettative perché il giovane artista tende ad interpretare tutto come un vaticinio.
Rispetto ad un anno addietro (oltre alla chiusura di altre gallerie) non ci sarebbe nulla di diverso da dire, tuttavia, negli ultimi tempi, ho accumulato un eccesso di cinismo che provo a smaltire riversandone buona parte (un po’ è sempre meglio mantenerlo di scorta) in questa risposta.

Caro Giovane Artista,
Innanzitutto se sei approdato a questo blog è perché ti sei incapricciato dell’incisione, ma se aspiri alla vetta del “sistema” dell’arte contemporanea è meglio che non si sappia: continua pure a incidere se ti diverte ma non impantanarti in questo campo dove resteresti invischiato a divincolarti invano per il resto della vita.
In ogni caso è da ingenui pensare che per farsi conoscere basta andare in giro con il book o con in cartella i lavori da mostrare e, ancor peggio, inviare e-mail a tutti i siti reperibili in rete, sperando di incontrare chi apprezzando il tuo lavoro si interessi per promuoverlo.
Purtroppo non funziona così, non più, non oggi.
Se chiedi a qualcuno di poter mostrare il tuo lavoro, stai già dimostrando di essere uno che ha bisogno di farsi conoscere, uno sfigato che si auto-promuove, inoltre autorizzi l’ultimo cazzone di gallerista a sentirsi un Gagosian.
Per affermarsi artisticamente occorre stabilire relazioni amicali (nel senso di Facebook, non in senso proprio) dando per scontato che tu sia già un artista di qualità avviato al successo.
Non presentarti mai direttamente, occorre sempre un “Mi manda Picone”: da conoscente a conoscente si arriva a coloro che possono fare la differenza.
Non si creda che sia un ambiente solo per raccomandati, tutt’altro: occorrono capacità di relazionarsi non comuni, ma non è vero che se il tuo lavoro è di assoluta qualità sarà riconosciuto comunque, perché in questo campo nessuno rischia su qualcuno che non gli sia stato segnalato da qualcun altro.
Non avere fretta, ma neanche crogiolarsi nell'attesa che qualcuno ti scopra e neanche cedere alla tentazione del primo che ti propone di partecipare ad una mostra; credimi: meglio niente se non è il migliore gallerista o curatore del momento perché la verginità è ancora un frutto prelibato.
Puntare direttamente alle Biennali internazionali, ma nel campo dell’arte contemporanea vi sono interessanti concorsi/borse di studio che consentono un accesso privilegiato, però prima occorre darsi da fare per conoscere i curatori e dopo potrai partecipare con qualche chance.
La promozione di sé passa attraverso l’intreccio di relazioni interpersonali che sono indipendenti, per non dire indifferenti, dalla qualità del lavoro svolto, in pratica, si possono anche fare delle Gran Minchiate perché tutto dipende dal “contesto” secondo una logica che è ben esemplificata nel post FACCIAMO UN GIOCO.
Scegliti un qualsiasi linguaggio alla moda evitando le forme espressive tradizionali perché ormai un quadro se è dipinto male lo capisce anche un critico e, forse, anche un curatore; se poi t’inventi una trovata del tipo “esposizione di pietre delle quali ho sentito la voce che mi invitava a raccoglierle” sei a posto per il resto della vita… qualunque cosa sia fa sempre effetto se è realizzata da un tuo assistente.
Occorre ambizione, intraprendenza e “faccia tosta”.
Le critiche cattive possono venire solo dai tuoi stessi colleghi, dagli altri artisti che puntano a scavalcarti, ma nessun critico scriverà male perché le stroncature non si usano più e si preferisce fare l’elogio del proprio orticello invece di perdere tempo a criticare l’erba del vicino.
La possibilità di essere smascherati è minima e se mai qualche critico, risentito perché gli hai trombato la moglie, dovesse svelare che è tutto un bluff sarà troppo tardi perché, nel frattempo, gli interessi che si sono sviluppati intorno ai tuoi lavori, sono tali da costituirne una solida impalcatura di sostegno.
Invece quel che potrebbe stroncarti la carriera, Oh Fulgida Stella, è, se si coprisse, per esempio, che sei un pittore veramente capace di dipingere, che sai disegnare e che incidi personalmente le tue lastre. Allora saresti sputtanato e deriso, precipiteresti nella disillusione e la caduta sarebbe irrecuperabile; sarebbe la vendetta degli altri artisti, anche loro in cerca di successo, che hanno visto il collega risplendere e godono nel vederlo disfatto.
Da questo punto di vista l’arte può sembrare una brutta faccenda fatta di prevaricazioni, qualcosa di losco, una via spiccia per il successo e la vedetta sul genere umano, la speranza di guadagnarsi una fama con poco sforzo, tentando la fortuna come partecipando al casting  di selezione per il Grande Fratello, con in più il sospetto che al fondo ci sia un imbroglio.
La strada, pur con qualche esasperata semplificazione, è questa indicata, quanto alla meta è facile illudersi di averla raggiunta al primo invito ad una qualche biennale, ma queste rassegne sono più dei tritacarne infatti del 99% dei giovani invitati non si hanno più notizie (lo sforzo non è tanto quello creativo di inventarsi una nuova stronzata, ma quello di mantenersi a galla); tuttavia se proprio ti ripugna imboccarla e qualora tu non sia un pedissequo e sottomesso ripetitore di stereotipi (paesaggio, paesaggio con cascina, paesaggio con cascina sotto la neve…) puoi continuare a fare le incisioni che ti appassionano (in verità nessuno può impedirti di incidere anche se sei il più arruffone dei dilettanti), comunque, in ogni caso, scordati l’idea che stai facendo dell’arte, perché è un’idea che da un canto può inibire, essendo come stare costantemente sotto esame, dall’altro è un’idea con la quale è facile gonfiarsi l’io a dismisura con conseguenze rovinose sul piano psicopatologico, inoltre, come abbiamo visto, può esaltare la speranza connessa con il colpo di fortuna che con l’incisione non verrà mai.
L’incisione può darti da vivere, ma oggi non si può vivere “facendo” soltanto incisioni (capirai presto la distinzione, neanche tanto sottile).
Dovrai mettere in conto che in questo campo è difficile imparare il mestiere, si sarà sempre alla prime armi, e se uno ritiene di averlo imparato è meglio che smetta.
Forse è proprio per questo che chi riesce a conquistare lo stipendiuccio statale nella scuola smette di incidere, essendo il “docente”, per definizione, uno che possiede il mestiere. Io non credo che sia questa la reale motivazione (troppo nobile) ma ti ho servito un buon alibi anche per una diversa scelta futura.
Buon Lavoro.

venerdì 29 novembre 2013

UN RITO SANGUINARIO

(Dal comunicato stampa)
« Shh, – disse a se stesso ».
I libri per il concorso se ne stavano adagiati in più parti della casa e ognuno sembrava chiamare per essere guardato, studiato, capito. Chiunque si muovesse lì dentro poteva essere uno della giuria e allora era importante richiamare la sua attenzione. C’erano pacchi multicolore, pacchetti piccolissimi e bizzarri, enormi scatole e anche chi se ne stava nudo come era stato creato, senza un foglio di protezione. Impertinenti, tutti, nel loro esibirsi.
Poi, ecco, quelli in buste quasi anonime.
« Sfiduciati! Partecipano ma non ci credono e quando gli arriva addosso un premio, una menzione, una segnalazione o, comunque, vengono portati in mostra, restano allibiti. Piangono. Non si capacitano d’essere stati prescelti».
Continuava a muoversi con molta discrezione, era andato lì solo per vedere che tutto fosse a posto, domani c’era la “pre-selezione”. Un rito sanguinario, così nella sua fantasia. Un gruppo professionale avrebbe via via aggredito le opere, le avrebbe esaminate e commentate diventando di volta in volta ilare, dubbioso o furioso a seconda delle qualità che emergevano da quel tripudio di manufatti. Quelli della pre-selezione facevano il lavoro sporco: togliere le opere impresentabili per sciatteria, mettere da parte quelle per la mostra e infine decidere quali sarebbero state portate davanti alla giuria. Occhi attenti, adusi a veder difetti e pregi come un operaio di linea al tocco sa distinguere i pezzi validi da quelli non buoni. Solo che lì non c’erano pezzi meccanici ma una montagna di sogni, speranze e illusioni. È così in ogni concorso. Quando un’opera viene scartata se l’ascolti urla, sa che sarà abbandonata per sempre, guardata con odio dal suo creatore oppure stretta al petto con rabbia.
– Avete detto qualcosa? – domandò a un pacco che aveva urtato.
«Che stupido che sono! Mi dimentico sempre che il frigor coreano fa rumori che sembrano gemiti umani».
 
(Dal diario del custode dei Lmmv. Domenica, 6 ottobre 2013)


FESTA DI PREMIAZIONE
XIX EDIZIONE DEL CONCORSO
LIBRI MAI MAI VISTI
Sabato 7 dicembre 2013 ore 16 
Russi (RA), Teatro Comunale via Cavour 10
GRAN FINALE CON  BUFFET DI LIBRI PER TUTTI
a seguire
INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA
(EX CHIESA IN ALBIS, Piazza Farini)
Chiusura mostra giovedì 16 gennaio 2014 ore 19.
Orari di apertura: dal mercoledì al venerdì ore 15 / 19.
Sabato e domenica ore 10 / 12 e 15 / 19.
Chiuso il 25 dicembre e la mattina del 1 gennaio

domenica 24 novembre 2013

QUATTRO LINK


Ci sono stati segnalati i seguenti link, per accedere basta cliccare sul numero corrispondente.

1
Reportage fotografico della mostra “Corpo IN/Formazione” curata da Alberto Balletti con Vasil Kolev presso la National Academy of Art di Sofia (Bulgaria).

2
Filmato dell’inaugurazione della personale di Nella Piantà presso la Galleria “L. Sturzo” di Carpendo – Mestre.

3
Articolo di Marco Picasso sulla nuova sezione di pietre litografiche allestita dal Museo della Stampa “Andrea Schiavi“ di Lodi.

4
Prima Biennale di Incisione, Premio "Bruno Starita".

domenica 3 novembre 2013

IL COLLEZIONISTA DI STAMPE


Nel corso della preparazione del post sull’opera di Lanfranco Lanari si era pensato alla possibilità di prendere in considerazione, oltre all’attività degli artisti e ai commenti dei critici, anche il particolare punto di vista dei collezionisti.
Abbiamo iniziato col chiedere proprio a Lanari una considerazione sui suoi interessi di collezionista ai quali si faceva cenno proprio nel post dedicato alla sua attività di incisore e lo ringraziamo per l’interessante riflessione che ci ha inviato accompagnandola con le riproduzioni di alcune opere della sua collezione.
Il testo  ci sembra piacevole e misurato. Lanfranco Lanari nel ripercorrere alcune tappe del suo percorso di collezionista è riuscito a raccontare anche un po’ sé stesso e la scelta delle opere da presentare è ricaduta non sulle più importanti che sono anche le più note a tutti, ma su alcuni soggetti interessanti anche per le modalità con le quali ne è venuto in possesso.
I lettori che fossero interessati a sviluppare tale tematica possono contattare la redazione del blog.


LA MIA COLLEZIONE DI INCISIONI
La mia collezione di incisioni è iniziata nell’’87 durante il primo viaggio a Parigi (in una delle bancarelle sul lungo Senna, ormai scomparse, che vendevano libri e stampe d’epoca) una calco ottocentesca, un bellissimo tucano stampato in quattro colori. Più che l’inizio di una mania, salutare mania che attualmente conta circa 3000 fogli dal 500 ad oggi, voleva essere solo un souvenir. Nei successivi viaggi ho sempre cercato mercatini e negozi di stampe. Solo in Australia, Cina, Spagna e a Londra non ho trovato stampe allettanti o abbordabili.
  
Agostino de musi detto Agostino Veneziano, ARRAMPICATORI da Michelangelo, bulino 1524

Durante il terzo viaggio a Praga in un sottoscala/bottega di un vecchio scaltro venditore ho scovato tre bulini, uno dei quali di Agostino Veneziano:al tempo non ne sapevo nulla ma si trattava degli "arrampicatori" da Michelangelo. Credo sia un foglio rarissimo tanto che non è presente nei maggiori gabinetti di stampe, neppure al British Museum di Londra.
Ridotto male, con mancanze e una lieve quadrettatura a china per eseguirne una copia, ma in tiratura magnifica, il primo vero innamoramento per cosa "inanimata".

Jacopo Carraglio, LA FURIA, bulino 1520/39
La "furia" del Caraglio è tra le predilette, rara, bellissima nella sua orrorifica allegoria torna in Italia dalla Germania, un buon affare tramite e-bay.
Per sette dei miei dieci Rembrandt è stato sufficiente spostarmi di 40 km e arrivare a Fano. Quattro li ho pagati poche decine di migliaia di lire perché non firmati in lastra, grandi colpi di fortuna ma anche il frutto di studio sui repertori e dell’intuito. 

Rembrandt, LA CIRCONCISIONE NELLA STALLA, acquaforte 1654
Questi quattro fogli vengono da un grande magazzino di stampe di Parigi che contava decine di migliaia di importanti fogli da collezioni diverse, una sorta di paradiso, svenduti dall’erede ad uno scontroso ma simpatico venditore da Bagnacavallo. Da lui ho acquistato altre centinaia di belle incisioni a prezzi molto ragionevoli.

Albrecht Durer, ELMO CON GALLO, bulino 1503
Sempre a Fano ma da un amico venditore dell’urbinate mi è stata proposta l’"elmo con gallo" di Dürer. Creduta una magnifica copia del Wierix, una volta a casa l’ho confrontata con i cataloghi e ho avuto la gioia e la certezza che fosse del più grande bulinista di sempre: Dürer.

Giorgio Ghisi, APOLLO E LE MUSE, bulino 1557

Dall’Olanda gli ultimi due Giorgio Ghisi, mantovano del 500 del quale amo le atmosfere sospese metafisiche: "la calunnia" e " Apollo e le muse" molto rare in terzo e primo stato ambedue coeve ,stampate nella sua bottega magari da lui.
Di Luca di Leida, il più amato dopo Rembrandt e Dürer, incisore raffinatissimo e profondo, forse è leggenda ma usava mescolare all'inchiostro pagliuzze d'argento. Ho trenta suoi bulini quello a cui tengo di più è arrivato da un mese dalla Germania "la creazione di Eva", una poesia.

Luca di Leida, LA CREAZIONE DI VENERE, bulino 1524
Di Federico Barocci da Urbino "il perdono d’Assisi" una prima variante di due del primo stato, nerissima a scorrerci il polpastrello si sente lo spessore dell'inchiostro. In occasione della mia personale da poco terminata ho più volte rivisto il dipinto da cui deriva, conservato nella Chiesa di San Francesco in Urbino.
Anche l’autore è lì a fianco del Santi (padre di Raffaello), ho badato a non calpestarne le lapidi. Del Barocci non riesco a capire alcune cose: sono conosciute quattro incisioni, eseguite in tempi diversi e tutte di livello altissimo sembrerebbe non abbia pagato alcun noviziato. Solo quattro lastre e ha rivoluzionato la tecnica dell’acquaforte in pratica appena sfiorandola, ritenendo presto conclusa l’esperienza delle morsure multiple.
Del Callot una stampa forse la più importante e tra le più rare, che presuppone un particolare tipo di viaggio, quello che saltimbanchi, merciai, truffatori e visitatori allora e oggi anche se con minori difficoltà, affrontavano in occasione delle fiere. La fiera dell’Impruneta, nella versione di Nancy, grande animatissimo foglio vi hanno contato 1138 figure umane e più di un centinaio di animali, alcuni di pochi mm, ma tutti perfettamente dettagliati.
Concludo con una piccola molto affascinante incisione "la Pera del Bando" di Canaletto, con la lente, rivivo a fianco di popolani e nobili in trine e tricorno una luminosa giornata nella Venezia del settecento a Piazza San Marco.

Antonio Canal detto Il Canaletto, LA PERA DEL BANDO, acquaforte 1740/42
Alcune precisazioni sul mio modo di collezionare: ho potuto dedicare a questo interesse quanto ricavato dalla vendita delle mie opere e ritagliando il "surplus", sempre più magro, dallo stipendio. Nella scelta mi sono sempre affidato all’emozione trasmessa e al gusto, apprezzando sopratutto le capacità creative, ma spesso anche le sole qualità tecniche.
Ho guardato con un po' di attenzione gli autori marchigiani, i soggetti con mostruosità, diavoli fantasticherie mi hanno sempre stuzzicato, ma sostanzialmente non prediligo tematiche precise se non negli ultimi anni in cui cerco soggetti e autori al femminile.
A volte ho anche affrontato il restauro e la ricostruzione di piccole mancanze di alcuni tra i fogli meno importanti e dai difetti meno impegnativi, ottenendo anche buoni risultati.
La collezione è in catalogazione da qualche mese: sta provvedendo un giovane amico con la stessa passione, incontrato pochi anni fa in un mercatino.Io non ne avrei mai avuto il tempo, né ho le sue capacità di ricerca e navigazione nel web.
Tra non molto potrò condividere la collezione riguardante il 500 / 600 / 700 anche nel web.
Lanfranco Lanari, Agosto 2013
BIBLIOGRAFIA
Da Dürer a Goya. Incisioni di Antichi maestri da due collezioni private marchigiane. Accademia Raffaello, Urbino 2003.

Lanfranco Lanari, Su internet alla caccia di immagini (e magari acquisti), “L'occhio nel segno” supplemento al 71 di Grafica d'arte, Milano 2007. 

venerdì 1 novembre 2013

LETTERA SUL REPERTORIO DI BAGNACAVALLO

Abbiamo ritenuto opportuno premettere queste poche righe per scusarci se questo nuovo post sembra interrompere il dibattito in corso sul repertorio di Bagnacavalo, ma così come abbiamo sentito doveroso dare notizia della pubblicazione della nuova edizione riteniamo che rientri nella logica del blog rendere nota una lettera aperta messa in rete su Facebook.
In redazione non tutti erano d’accordo alla pubblicazione, ma ha prevalso il principio giornalistico che considera un obbligo etico pubblicare la notizia della quale si è venuti a conoscenza.
In uno dei commenti nel precedente post il blog è stato accusato di essere “fazioso e prevenuto” solo perché i commenti dei lettori esprimono autonomia di giudizio critico, dobbiamo ammettere che il nostro atteggiamento, a volte, dissacrante e, a volte, provocatorio arrossisce di imbarazzo e si mortifica in confronto all’accurata disamina contenuta nella lettera che di seguito riportiamo.
Data la nostra sconfinata immodestia l’attributo “profetico” che ci viene riconosciuto non ci gratifica (suggeriamo la lettura degli ultimi due righi del post CIQUITA 10 E LODE) ed essendo vecchi nel “vizio” abbiamo colto nell’iniziativa qualche ingenuità e una conclusione troppo accondiscendente. Chi segue il blog con attenzione avrà capito che il gioco allo “sfascio” non ci ha mai interessato e, nel caso specifico, riteniamo che coloro che hanno rotto il “giocattolo” non possono essere gli stessi ai quali chiedere di riparlo.

P:S:
Rettifichiamo un equivoco indotto dal fatto che nel messaggio introduttivo si fa riferimento a un«file word in cui viene riportata una conversazione pubblica avuta su FB», pertanto non si tratta di una “lettera aperta messa in rete su facebook”, ma di una «bozza di lettera» che, come si legge nella premessa, «sarebbe auspicabile se voi spediste questo messaggio a tutti i vostri contatti i quali, a loro volta possono ulteriormente inviare le email.»
È quel che ha fatto chi ci ha trasmesso la «bozza di lettera» ed è quel che facciamo noi, come blog con i mezzi che ci sono propri.
Come sempre si possono usare i commenti o scrivere all’indirizzo e-mail del blog per rettifiche e rimostranze.

Cari amici incisori,
non so quanti di voi abbiano già ricevuto il “Repertorio” di Bagnacavallo e abbiano così potuto visionarne il suo contenuto. A prescindere da omissioni varie che sono state effettuate nelle biografie di alcuni artisti o per le varie pubblicazioni che non sono state minimamente menzionate, ciò che è accaduto a Bagnacavallo è, a dir poco, disdicevole… Non si tratta, come alcuni ci hanno accusato di “stridor di denti” er non aver partecipato alla mostra (anche se non si comprende il senso di donare una stampa che mai sarà visionata e che resterà sepolta nei cassetti del Gabinetto delle Stampe) poiché, siamo tutti dei professionisti e quindi, non sarebbe stata questa ulteriore esposizione a fare la differenza nei nostri curriculum. Qui si vuole porre in evidenza l’irregolarità dei procedimenti selettivi, le scorrettezze varie che si sono svolte e l’inserimento, nero su bianco, di un ‘bollino’ che distinguerebbe gli incisori di serie A da quelli di serie B.
Si fa notare che quest’aspetto crea seri danni d’immagine alla nostra professionalità, soprattutto per quanti di noi insegnano e tengono corsi presso scuole e atelier… Parlando banalmente, credo che nessuno, andando al supermercato, laddove gli si ponesse la possibilità di scegliere tra la frutta di 1° qualità e quella di 2° scelta, poi comprerebbe la seconda… sembra evidente!
Pertanto, poiché da consultazioni telefoniche o via FB, siamo già un centinaio a sentire il disagio di questa situazione, stiamo pensando di inviare una lettera, tramite email, al Gabinetto delle Stampe e a diverse testate giornalistiche del territorio, oltre a tutti i musei ed enti a cui di solito vengono offerti i repertori: siamo ben 300 ed è giusto che facciamo ascoltare tutti insieme la nostra voce. Se qualcun avesse timore di attirarsi dei ‘nemici’, facciamo notare che tutti coloro che vi hanno escluso dal clan, non sono certo vostri amici! Quindi, non avete nulla da perdere!
Qui di seguito vi sarà riportata la lettera che voi dovrete semplicemente inoltrare agli indirizzi mail che saranno in futuro allegati; in questo momento vorremmo avere la conferma di quanti di voi aderiranno e, in tal caso, sarebbe auspicabile se voi spediste questo messaggio a tutti i vostri contatti i quali, a loro volta possono ulteriormente inviare le email.
In questo modo, ricevendo una così pressante ondata di messaggi, potremmo far valere le nostre ragioni e non passare inosservati, perché di fatto siamo stati ingiustamente messi da parte. Si allega inoltre un file word in cui viene riportata una conversazione pubblica avuta su FB nella quale, i curatori stessi, ammettono di non aver rispettato le regole da loro stessi imposte, oltre a un link che risale al 26 marzo 2013 in cui qualcuno, profeticamente, aveva già previsto cosa sarebbe accaduto!
Si ringrazia per la collaborazione e, per favore, fateci sapere quanto prima cosa ne pensate con un “Rispondi a tutti” alle email che ricevete (va bene anche un semplice “OK" e il cognome), in modo che ognuno possa visualizzare le risposte altrui. Infine, poiché vedrete che c’è un elenco degli artisti scelti, con evidenti legami con la commissione esaminatrice, qualora voi siate a conoscenza di ulteriori rapporti, siete pregati di riferircelo. Ad esempio moltissimi hanno partecipato alla “Biennale Nazionale d’Incisione ‘Giuseppe Polanschi”, alla quale si aderisce per invito diretto, probabilmente da Trentin stesso, mentre altri fanno parte di determinate associazioni , stamperie, ecc… operanti a Milano (Centro Incisione Alzai Naviglio Grande), Matera (Grafica dei 7 dolori), Firenze (Il Bisonte) o altrove..... Ciò che conta è dimostrare che questa commissione, non avrebbe mai potuto esser obiettiva perché, di fatto, già fin troppo vincolata ai suoi partecipanti!
Grazie mille!

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BOZZA DELLA LETTERA

All’attenzione del Gabinetto di Stampe Antiche e Moderne del Comune di Bagnacavallo

Gentile Gabinetto di Stampe Antiche e Moderne del Comune di Bagnacavallo, ricevete questa email perché vorremmo dissentire su alcuni passaggi che hanno riguardato l’edizione di questo nuovo Repertorio.
1) Omissioni di premi importanti che riguardano le biografie di alcuni incisori;
2) Omissioni di alcuni pubblicazioni di settore edite in questi 5 anni;
3) Non rispetto delle regole e scadenze per la consegna delle opere da parte di coloro che le hanno proposte;
4) Inserimento in Repertorio di alcuni artisti che non sono incisori professionisti;
5) Inserimento di dati falsi per ciò che concerne le biografie di alcuni artisti e le modalità tecniche con cui operano;
6) Inserimento del fantomatico ‘bollino’ che, di fatto, ha decretato una distinzione tra artisti di serie A e B;
7) Perplessità sulla composizione della giuria, laddove esaminatore ed esaminato si incarnavano nella stessa persona, e gli altri componenti hanno palesemente contatti con gli artisti prescelti per il “Primo Festival dell’Incisione Contemporanea”.
Non è il caso di dilungarsi sui primi due punti, laddove gli artisti sono veramente tanti e i casi troppo peculiari per essere qui trattati, pertanto, saranno esposti gli aspetti più gravi.
Siamo venuti a conoscenza che i termini richiesti per la consegna dei materiali sono stati dilungati per attendere artisti inadempienti; questa pratica non è sicuramente professionale, poiché in nessun concorso verrebbe mai accettato chi non rispetta una sola clausola del bando.
Si è detto spesso che il Repertorio è solo un ‘censimento’ e perciò non starebbe a lui verificare la veridicità delle affermazioni, tuttavia non sembra che nei fatti, voi stessi vi presentate in questo modo.
Il Repertorio è attualmente, in Italia, l’unica pubblicazione che registri l’operato degli artisti incisori presenti sul territorio italiano ed è divenuto nel tempo supporto qualificato che si occupi di grafica incisoria….
… il Repertorio costituisce un documento credibile sull’attività degli incisori…
… il Repertorio è una pubblicazione unica nel suo genere in Italia, un bacino di informazioni autorevole e prezioso sull’arte incisoria nel nostro Paese…
Detto questo, pare evidente che non ci sia più una valutazione corretta dei ‘titoli’ degli incisori, mentre in passato occorreva dimostrare con pubblicazioni e un ingente numero di foto, l’effettiva produzione dell’artista: adesso sembra che basti aver partecipato anche solo una volta a una Biennale per essere inseriti in Repertorio (realizzare un’unica incisione nella vita, non fa di una persona un incisore!).
È altresì grave che non ci sia qualche esperto del settore che valuti la qualità tecnica delle stampe ricevute, in modo da accertarsi anche delle tecniche utilizzate e dichiarate dagli artisti stessi.
Il ‘Repertorio’, in qualità di strumento di consultazione per critici, artisti, curatori, galleristi, mercanti e tutti gli addetti del settore, dovrebbe mantenere la sua onestà intellettuale, perché altrimenti si ridurrebbe a un mero elenco di artisti operanti in Italia con allegati foto e recapiti degli stessi.
Passiamo adesso all’aspetto più spinoso della questione:
… La mostra non sarà dunque la mera esposizione dei fogli di tutti gli artisti presenti nella pubblicazione, ma sarà qualcosa di diverso , più orientato ad una panoramica selezionata della produzione incisoria in Italia nel periodo 2008-2013…”.
Il ‘bollino’ posto di fianco al nome degli artisti, contraddistingue coloro che, in ragione della qualità della loro proposta e per la rilevanza della loro attività artistica e/o espositiva, sono stati segnalati da un apposito gruppo di lavoro come coloro che meglio hanno rappresentato le tendenze del panorama incisorio nel nostro Paese nel periodo di riferimento (2008-2013). Questi artisti fanno parte della mostra, collegata al Repertorio, ‘L’incisione in Italia oggi. Linguaggi, poetiche, tendenze’.
In questa sede non si lamenta la mancata partecipazione all’esposizione (anche se non si comprende il senso di donare delle stampe che mai verranno viste e resteranno sepolte nei cassetti), bensì la classificazione tra la schiera degli ‘eletti’ e quella dei ‘dimenticati’…
Non si contesta la qualità degli artisti scelti per la mostra (moltissimi sono davvero professionisti di livello eccelso e con notevole attività alle spalle), ma non si comprende con quale criterio siano stati scelti, laddove tantissimi altri, parimente meritevoli, sono stati estromessi. Resta il dubbio su come si sia operata questa selezione, in diversi casi in cui sia la qualità della stampa presentata (che magari è stata pure premiata all’estero), sia il curriculum degli artisti, era veramente lodevole e di valore, eppure, non sono a voi sembrati rappresentativi del panorama incisorio del paese…
A tal proposito, si riporterà qui di seguito l’elenco di coloro che sono stati scelti per la mostra, ricordandovi la commissione esaminatrice, formata da:
Chiara Gatti, Nicola Micieli, Furio Romualdi (Editore INClub Firenze), Giorgio Trentin, Ermes Bajoni,oltre ai legami che da sempre il ‘Repertorio’ ha avuto con il prof. Paolo Bellini, editore di ‘Grafica d’Arte’ e che per l’occasione ha redatto anche il saggio introduttivo.

AGOSTINO CIRO – Catalogo curato da Chiara Gatti, 2011.
AIME TINO – Inserito da Bellini nel ‘Dizionario della Stampa d’Arte’, 2008.
BAJONI ERMES - Inserito da Bellini nel ‘Dizionario della Stampa d’Arte’, 2008; Catalogo curato da Chiara Gatti, 2008 e 2011; opere pubblicate dall’INClub di Firenze… esaminatore ed esaminato!
BELLINI ENZO - Inserito da Bellini nel ‘Dizionario della Stampa d’Arte’, 2008; opere pubblicate dall’INClub di Firenze.
BELLOMI TIZIANO – Catalogo a cura di Giorgio Trenin nel 2012.
BONALDO GUERRINO - Opere pubblicate dall’INClub di Firenze.
BORSACCHI CESARE – Catalogo curato da Nicola Micieli, 2004 e 2005;
BRACHITTA SANDRO - Catalogo curato da Nicola Micieli, 2000.
CACCIARINI GIANNI - Inserito da Bellini nel ‘Dizionario della Stampa d’Arte’, 2008; Opere pubblicate dall’INClub di Firenze.
CALAVALLE ADRIANO – Catalogo curato da Bellini, 2009.
CASORATI FRANCESTO - Inserito da Bellini nel ‘Dizionario della Stampa d’Arte’, 2008; Catalogo a cura di Chiara Gatti, 2011.
CECCOTTI RODOLFO – Catalogo a cura di Chiara Gatti, 2011.
CIAMPINI PAOLO – Pagina scritta da Chiara Gatti in ‘Grafica d’Arte’, 2000.
CONSILVIO GIULIANA – Pagina dedicata da Bellini in ‘Grafica d’Arte’, 1990.
DAL PRA GIAMPAOLO - Pagina dedicata da Bellini in ‘Grafica d’Arte’, 2005; Catalogo a cura di Chiara Gatti, 2011; Opere pubblicate dall’INClub di Firenze.
DI PIERI GINO – Catalogo curato da Giorgio Trenin, 2010.
DI STEFANO FERNANDO - Opere pubblicate dall’INClub di Firenze.
DIAMANTINI FIORELLA - Opere pubblicate dall’INClub di Firenze.
DIANA PIETRO - Catalogo a cura di Chiara Gatti, 2011.
EMILIANI PAOLA – Pagina scritta da Furio Romualdi in ‘Grafica d’Arte’, 1990; Opere pubblicate dall’INClub di Firenze.
FAVARO GIANNI – Inserito da Bellini nel ‘Dizionario della Stampa d’Arte’, 2008.
FRONTERO ELENA – Opere pubblicate dall’INClub di Firenze.
GALARDINI RENZO - Catalogo a cura di Nicola Miceli, 1992.
GATTI VINCENZO - Catalogo a cura di Chiara Gatti, 2011.
GRITTI CALISTO - Catalogo a cura di Chiara Gatti, 2011.
GUADAGNINO MARIO - Catalogo a cura di Chiara Gatti, 2011.
ISRAEL MAURA – Pagina di Bellini dedicata in ‘Grafica d’Arte’, 1997.
ITALIA SEBASTIANO - Catalogo a cura di Chiara Gatti, 2011.
LANARI LANFRANCO - Pagina di Bellini dedicata in ‘Grafica d’Arte’, 2008.
MARGHERI RAFFAELLO - Opere pubblicate dall’INClub di Firenze.
MISSIERI BRUNO – Testo di Bellini, 1994.
MONGATTI VAIRO - Catalogo a cura di Chiara Gatti, 2011.
PECORARO TONI - Catalogo a cura di Chiara Gatti, 2011.
PERRELLA MARIA ROSARIA – Pagina di Bellini dedicata in ‘Grafica d’Arte’, 2010; Tesi di laurea con relatore Bellini, 2009/2010; Catalogo a cura di Bellini, 2010; Opere pubblicate dall’INClub di Firenze.
PETRÒ PAOLO – Catalogo a cura di Chiara Gatti, 2011.
PIRAS ENRICO - Opere pubblicate dall’INClub di Firenze.
SARACCHI ERNESTO - Pagina di Bellini dedicata in ‘Grafica d’Arte’, 2008.
SCIACCALUGA FRANCESCO – Testo di Bellini, 1993; Catalogo a cura di Chiara Gatti, 2011.
SCIAVOLINO ENZO – Catalogo di Nicola Micieli, 1997, 2008, 2012;
SERAFINI ANDREA - Catalogo di Giorgio Trentin, 2004.
TIMONCINI LUIGI – Catalogo di Bellini, 1993; Inserito da Bellini nel ‘Dizionario della Stampa d’Arte’, 2008.
TOGO (MIGNIECO ENZO) - Inserito da Bellini nel ‘Dizionario della Stampa d’Arte’, 2008.
TOMASI FULVIO – Testo di Chiara Gatti in ‘Grafica d’Arte’, 2002.
TONELLI ROBERTO - Pagina di Bellini dedicata in ‘Grafica d’Arte’, 2008.
TREGAMBE GIROLAMO BATTISTA - Opere pubblicate dall’INClub di Firenze.
TROLESE BENITO – Testo di Bellini del 1991; Inserito da Bellini nel ‘Dizionario della Stampa d’Arte’, 2008.
TURRIA GIOVANNI - Catalogo a cura di Chiara Gatti, 2011.
VERNA GIANNI - Catalogo a cura di Chiara Gatti, 2011.
VIARENGO MINIOTTI ELISABETTA – Pagina di Bellini dedicata in ‘Grafica d’Arte’, 1998.
VIRZÌ LAURA - Opere pubblicate dall’INClub di Firenze.
VITALI GIANCARLO – Catalogo di Bellini, 1994.
ZALIANI AGOSTINO - Inserito da Bellini nel ‘Dizionario della Stampa d’Arte’, 2008; Catalogo a cura di Chiara Gatti, 2011.
ZAMBONI ROBERTA – Catalogo di Giorgio Trentin, 2007; 2 cataloghi a cura di Chiara Gatti, 2011.

AULMANN EVA, BARACCO EMILIO, BAUDINO NINO, BENTIVENGA MARIA PINA, BORDIGNON GABRIELE, CESCHIN LIVIO, DI STEFANO FERNANDO, FRONTERO ELENA, GERONAZZO FRANCESCO, LUCIANO STEFANO, MASONI ROMANO, MOLENA ELENA, MONGATTI VAIRO, PECORARO TONI, PIAZZA VINCENZO, QUADRIO LANFRANCO, SCIALVINO GIANFRANCO, TIMONCINI LUIGI, VERNA GIANNI, VIARENGO MINIOTTI ELISABETTA: IV° Biennale Nazionale d’Incisione ‘Giuseppe Polanschi’, 2009.

BELLOMI TIZIANO, BENTIVENGA GIANNA, BRACHITTA SANDRO, DA GIOZ GRAZIELLA, DELPIN DARIO, FORNERIS ERICA, MANNO VITTORIO, METALLINÒ ELETTRA, NAVARETTI GUIDO, OCCARI CAROLINA MARISA, PALMA ALBINO, PERRELLA MARIA ROSARIA, RIZZELLI ANGELO, SACCOMANDI SERGIO, ZIGIOTTI MARINA: V Biennale Nazionale d’Incisione ‘Giuseppe Polanschi’, 2011.

BENEDETTI MARIO, BINDELLA MARINA, BRACHITTA SANDRO , CIAMPINI PAOLO, DIAMANTI ELISABETTA, GERONAZZO FRANCESCO, MOLENA ELENA, VI Biennale nazionale d’Incisione "Giuseppe Polanschi", 2013.

Alla luce di quanto esposto, sembra evidente come questa commissione, pur volendo, non potesse essere neutrale e scevra da simpatie varie verso persone a cui, addirittura, vendono e promuovo i lavori, facendo così salire le loro quotazioni, a discapito di tutti gli altri che, messi da parte, non saranno mai più scelti per sostenere i loro corsi, saranno “abbandonati” come stampatori, e non saranno invitati in future manifestazioni di un certo rilievo...
Poniamo questi quesiti alla vostra attenzione, affinché possiate non solo darne risposta, ma tentare, in parte, di porre rimedio al grave danno d’immagine che avete creato a tutti noi e, soprattutto, evitare che in futuro si ripetano gli stessi errori, e si agisca con più coscienza.

venerdì 25 ottobre 2013

REPERTORIO DEGLI INCISORI ITALIANI

Occupandoci di incisione non possiamo non segnalare che la VI edizione (2008 – 2013) del “Repertorio degli Incisori Italiani” a cura del Gabinetto delle Stampe Antiche e Moderne del Comune di Bagnavacallo è stato pubblicato e distribuito dalla Edit Faenza (volume in 4°, brossura, pp. XVI + 153, Euro 60,00).
440 gli artisti “repertoriati” (nella precedente edizione erano 235, ma, in appendice, erano elencati i nominativi di 260 artisti presenti nel quarto volume e non riportati nel quinto).

120 i segnalati da una commissione secondo criteri e modalità di cui si da conto in una relazione del coordinatore Ermes Baroni.

AGOSTINI Ciro, AIME Tino, AULMANN Eva, BAJONI Ermes, BARACCO Emilio, BARTOLOMEOLI Alfredo, BASTIA Liliana, BAUDINO Nino, BELLINI Enzo, BELLOMI Tiziano, BENEDETTI Mario, BENTIVENGA Gianna, BENTIVENGA Maria Pina, BEUCHAT André, BINDELLA Marina, BONALDO Guerrino, BORDIGNON Gabriele, BORSACCHI Cesare, BRACCHITTA Sandro, BURLIZZI Vincenzo, CACCIARINI Gianni, CALAVALLE Adriano, CASORATI Francesco, CECCOTTI Rodolfo, CESCHIN Livio, CHIANESE Mario, CIAMPINI Paolo, COLOMBO Angela, CONSILVIO Giuliana, DA GIOZ Graziella, DAL PRA Giampaolo, DELPIN Dario, DI PIERI Gino, DI SCIULLO Patrizio, DI STEFANO Fernando, DIAMANTI Elisabetta, DIAMANTINI Fiorella, DIANA Pietro, DUGO Franco, ELVIERI Vladimiro, EMILIANI Paola, FAVA Clemente, FAVARO Gianni, FERRARA Diana, FIORESE Cinzia, FORNERIS Erica, FRANCO Francesco, FRONTERO Elena, GALARDINI Renzo, GATTI Vincenzo, GERONAZZO Francesco, GINEPRI Paola, GRITTI Calisto, GUADAGNINO Mario, GUERRA Rossano, ISRAEL Maura, ITALIA Sebastiano, KITO Erico, KRACZYNA Swietlan, LANARI Lanfranco, LENZINI Pietro, LONGARETTI Trento, LUCIANO Stefano, MAGNOLATO Cesco, MAIOLINO Enzo, MANNO Vittorio, MARCON Luigi, MARGHERI Raffaello, MASONI Romano, METALLINO’ Elettra, MISSIERI Bruno, MODOLO Bonizza, MOLENA Elena, MONGATTI Vairo, MOSELE Ivo, NAVARETTI Guido, OCCARI Carolina Marisa, OLIVOTTO Claudio, PALMA Albino, PAPUCCI Silvia, PECORARO Toni, PEDROLI Gigi, PERRELLA Maria Rosaria, PETRO’ Paolo, PIAZZA Vincenzo, PIRAS Enrico, PIZZANELLI Fabrizio, QUADRIO Lanfranco, QUARESIMIN Gianfranco, RAMPINELLI Roberto, RIZZELLI Angelo, ROCCO Alberto, SACCOMANDI Sergio, SAMORI’ Nicola, SANCHINI Athos, SANTORO Tano, SARACCHI Ernesto, SCHIALVINO Gianfranco, SCIACCALUGA Francesco, SCIAVOLINO Enzo, SERAFINI Andrea, STELLUTI Roberto, TARASCO Pietro Paolo, TIMONCINI Luigi, TOGNONI Giancarlo, TOGO, TOMASI Fulvio, TONELLI Roberto, TREGAMBE Girolamo Battista, TROLESE Benito, TURRIA Giovanni, VAIANI Melania, VENDITTI Alberto, VERNA Gianni, VIARENGO MINIOTTI Elisabetta, VIRZI’ Laura, VITALI Giancarlo, ZALIANI Agostino, ZAMBONI Roberta, ZIGGIOTTI Marina.

Preceduto dai ringraziamenti iniziali del Sindaco di Bagnacavallo e dalla prefazione dei curatori un ampio ed articolato testo del Professor Paolo Bellini traccia il “Resoconto di cinque anni di attività in Italia nel mondo delle stampe d’arte”; dopo una breve premessa, che contiene già significativi spunti di riflessione e che si riporta di seguito, si ripercorre “quel che è successo” nel periodo 2009-2013 riguardo a:
Studi sulla stampa d’arte.
Premi e Biennali.
Le Associazioni.
Le donazioni e altre iniziative.
Le mostre.
Le pubblicazioni.
Il mercato
Quelli che ci hanno lasciato.
Seguono le schede per artista e chiudono il volume le dichiarazioni di Parigi (1964) e Milano (1994) sulla stampa e sull’incisione originale.

2009-2013: quel che è successo
Resoconto di cinque anni di attività in Italia nel mondo delle stampe d'arte
Lo scopo di questo scritto introduttorio che precede il repertorio degli incisori è quello di dare un ragguaglio oggettivo e, per quel che è possibile, completo di quanto è accaduto nell'ambito delle stampe d'arte nel quinquennio 2009-2013. In questo periodo è stato sotto gli occhi di tutti l'aggravarsi di una crisi, già in parie preesistente, dovuta a diversi fattori, ma principalmente alla situazione economica che ha accompagnato e pesantemente condizionato anche altri comparti della vita sociale. In tempi così difficili e problematici le stampe d'arte, che già di per sé rappresentano un settore di nicchia, hanno visto i propri confini restringersi ulteriormente.
C'è più di un elemento che induce a rapportare questa situazione a quella verificatasi negli anni Venti-Trenta del secolo scorso. Anche allora, come oggi, la stampa d'arte godeva di una considerazione molto bassa e assai poca attenzione le veniva prestata dalla critica. Eppure, in quegli anni, lavoravano artisti come Morandi e Bartolini, per non dire di Maccari e Viviani o della Scuola del Libro di Urbino. Ma ciascuno lo faceva nel chiuso del proprio studio, stampando poche prove, convinto di quel che faceva, senza avere bisogno del consenso dei collezionisti.
Di pari passo con la rarefazione dell'interesse (soprattutto commerciale) del pubblico è proseguito il lento e inarrestabile rarefarsi delle gallerie specializzate nel settore della stampa d'arte. Hanno chiuso per moria di clienti gallerie che da tempo erano attive sul mercato, mentre altre si sono viste costrette (o hanno preferito) allargare la loro offerta anche a differenti settori: prima, dalle stampe solo in bianco-nero o solo antiche si è passati a quelle a colori, poi in qualche caso ci si è aperti alla fotografia, o all'oggettistica, quando non alla scultura e alla pittura. Quanto giovino alla stampa d'arte questi cambiamenti, dettati da ragioni commerciali, lo diranno gli anni futuri. Per qualche galleria rimasta in attività sì è imposta una drastica cura al risparmio e così alcune hanno cessato di pubblicare i propri cataloghi di vendita in versione cartacea, affidandosi solo a cataloghi via internet; altre invece, di recente nascita, hanno subito imboccato questa strada. Un'ulteriore conseguenza arrecata dalla difficile situazione economica può essere colta nell'entità delle tirature. Un tempo forse gli artisti avevano esagerato, facendo eseguire tirature troppo alte per le proprie opere (poi rimaste, negli anni, invendute). Nel quinquennio trascorso la crisi ha imposto un deciso cambiamento di rotta, tanto che il totale dichiarato si è molto ridimensionato rispetto al passato e non di rado il «veramente stampato» non corrisponde, per difetto, al totale dichiarato.
Sul fronte espositivo la crisi economica ha solo in parte rarefatto le mostre, ma in compenso ha determinato fenomeni curiosi, inusitati e forse al limite della correttezza, che si sono registrati quando molti curatori di esposizioni presso enti pubblici si sono visti costretti a fornire la loro collaborazione gratuitamente, ed è pure successo che qualcuno ha dovuto far fronte personalmente alle spese per la pubblicazione del catalogo. Un fenomeno analogo si è avuto anche con la pubblicazione di alcuni saggi scientifici: non trovandosi sponsor né editori disposti alla pubblicazione, in diversi casi gli autori hanno sostenuto di tasca propria le spese per la stampa, peraltro in genere con risultati non eccellenti dal punto di vista editoriale.
Un certo cambiamento, intervenuto in Italia nel mondo dell'incisione durante il quinquennio 2009-2013, potrebbe essere visto in un'ulteriore lenta diminuzione delle opere non figurative. Tale fenomeno è stato, come sempre, acuito dal contrasto fra la lentezza dei procedimenti incisori e l'improvvisazione che molto spesso accompagna le opere non figurative.
Poche novità invece sembrerebbero essere emerse nel campo delle tecniche, salvo nuove e impensate combinazioni di procedimenti già noti. Un discorso diverso va invece condotto sullo sforzo per far conoscere e diffondere le tecniche non tossiche. A questo riguardo giova menzionare la meritevole opera svolta, fra gli altri, da F. Mercandetti, M. Innocenzi, F. Genna e C. Horat. Il quinquennio 2009-2013 ha inoltre ulteriormente codificato la messa al bando della litografia dalla maggior parte delle Biennali o dei Premi e questo fenomeno è oggi da attribuire più alla presa di consapevolezza della natura «non incisoria» della litografia, che alle diffidenze suscitate nei decenni passati dalle fotolitografie spacciate come stampe originali. Infine le tecniche digitali: pur essendosi registrato un ampliamento dell'interesse e la loro ammissione a qualche concorso, esse rimangono ancora al momento una produzione molto particolare che ha con la stampa d'arte solo pochi punti di contatto.
Paolo Bellini
Edit Faenza: 0546 634263 - www.editfaenza.com - info@editfaenza.com

martedì 1 ottobre 2013

GUIDO NAVARETTI

APPUNTI E CONSIDERAZIONI 1985 - 2005
CASE A SORANO, 1971. Acquaforte su zinco 270 x 240
Prima incisione realizzata in assoluto durante gli anni
all’Accademia di Belle Arti di Torino (1971 – 1975).
        


















Registro le mie giornate di lavoro adottando vincoli scelti, anni fa, tra materiali e strumenti che non richiedessero preparazione preventiva, mescolanze, diluizioni, pulizia e manutenzione. Tutto quanto da allora resta tale: il supporto orientato, la punta e l’inchiostro.
I tre vincoli assumono la particolarità di fornire comoda licenza dagli accidenti che sorgerebbero proporzionali all’adottare varietà di supporti e di materiali.
         Credo non mi sia congeniale essere equilibrista: costruire giostrando sulla sfera cromatica e dare svolgimento alla tipologia dei supporti. Occorre poi l’abitudine, nell’accingermi al lavoro, alle dimensioni e all’orientamento del supporto, giacché non sono sarto per tutte le taglie (e di tutte le borse). Mi importuna scegliere in partenza, così subendo, di volta in volta, il contenitore di diversa dimensione, gli strumenti ed il materiale da stendere sulla superficie per registrare nel tempo il mio intervento; iniziare ripetutamente a prendere confidenza, proporzione e conoscenza con materiale e condizioni di lavoro sconosciute.
Le variabili non mi risulta siano occasioni per nuove possibilità espressive ma, viceversa, stati inopportuni che si presentano nei momenti dove l’uso del materiale non può assolutamente coincidere con la sua conoscenza; né credo proficua una forma di espressione che identifichi conoscenza e uso. Concentrato nel lavoro devo darne applicazione il più possibile scevra da accidenti: non tradire i segni edonistici del domatore, ma, semmai, tentare quelli del virtuoso.
         Credo che l’unico rischio da affrontare sia la continuità; l’unico obiettivo la ricerca di un’articolazione del discorso figurativo svincolato da grammatiche materiali complesse per quantità e molteplicità di variabili, ciascuna propria e caratterizzante una tecnica.
L’adozione ridotta dei materiali di lavoro (al limite della possibilità del tracciare) e, di conseguenza, il massimo numero di vincoli, pone immediatamente in condizioni di registrare il mio intervento.
         Mi è fonte di stimolo non la novità e la ricchezza materiale, ma la necessità di racconto da esprimere in condizioni scontate per abitudine.
         Le riproducibilità è duplice necessità: d’ordine pratico e insieme etico per consentire eventualmente a chi lo desideri comoda e privata lettura, superando la contingenza dell’esposizione temporanea, e per conservare all’autore integra raccolta delle sue tracce, che avverto fondamentale dover mantenere sempre possibile e ordinata come riferimento del divenire del lavoro.
Maggio, 1985

ALBERO1971. Puntasecca su zinco 245 x 320
Prima puntasecca. Dal vero in una sola lezione
nel cortile dell'accademiasotto lo sguardo critico
di Mario Calandri e Francesco Franco



         

















Altro ritmo del pensiero e nel movimento procura il bulino. Allo scorrere, al curvare, al deviare, al fermarsi della traccia, è da considerare la sua “dimensione verticale”, connaturata alla sua natura di strumento di scavo. Scavo che implica un impiego ulteriore di energia che, a rischio, s’impara non debba essere forza bruta; ché il ferro come fiera maltrattata, si imbizzarrisce potendo andare, con volo irrazionale, anche a ferire.
Energia non tanto muscolare esercitata da braccio-avambraccio e mano, ma coinvolgente tutto il corpo: dai piedi che pareggiano la spinta dell’arto superiore, alle natiche che sono fulcro tra spinta e appoggio inferiore. Energia che viene applicata allineando e avvicinando il più possibile il punto di appoggio del ferro al baricentro del corpo.
         Il segno lo si sente crescere e procedere “dentro”, connaturato a questo sistema di leve così organizzato, e questo per tutta la “durata” delle tracce e per ognuna di esse. Se si rompe questo equilibrio non si controlla il ferro.
Letteralmente non ci si può scordare di una parte di sé, perché tutto l’organismo è sistema equilibrato in movimento che, solo, può permettere il controllo del segno. Tale controllo esime dall’impiego di energie mal concentrate ed annulla ogni valore di credibilità a “mitiche fatiche” che paiono prospettarsi iniziandosi allo strumento.
         Segno del pensiero che non si posa, ma si scava. Che si pensa, si vede, ma che poi occorre scavare. Ed allora, per evitare che il tempo di scavo esaurisca pensieri e visioni balenate o peggio per evitare uno scavo che semplicemente traduca segni tracciati altrimenti, ho tentato di scavare pensando.
Febbraio, 1989

TESCHIO, 1973. Acquaforte su zinco 225 x 220
Dal vero alla scuola di anatomia.


















L'operare per segni a bulino, prima o poi, comporta il richiamo a norme esecutive di riferimento che sono radicate nei modi di una tradizione storica plurisecolare e la normazione cui è stato vincolato può legittimamente suscitare interrogativi sulla natura del segno che vado operando, cosa che il solo utilizzo di pennino ed inchiostro avrebbe esentato.
Il segno deriva da una scelta, operata nel 1981, quando, disegnando con pennino ed inchiostro, sono giunto ad impiegare, con continuità, l’evidenza dimensionale del segno che giudico anche ottimale nel mio operare sulle matrici. Tralasciando di trattare della tecnica con cui realizzo il segno a bulino, esaurendosi questa, in null’altro che nell’operare del ferro, propongo alcune considerazioni, suscitate e stimolate da richieste che ritengo non solo curiose.

         La derivazione del segno a bulino dalla precedente esperienza - che non ha comportato “forzature” tecniche né nell'incisione, né nella stampa - ha, per me, motivazioni legate non solo alle mie possibilità operative, ma ragioni che intendo anche cercare di giustificare sul piano della forma etica.

Due sono i livelli che, nel mio ragionamento, riesco ad evidenziare:

a) - se il segno è di scarsa o nulla evidenza, per dimensione, descrittibilità e contrasto, la sua costituzione sintattica e la sua stessa stesura possono indurre o rendere indispensabile il ricorso a strumenti che consentono di alterare o di celarne l’evidenza, in condizioni di normale leggibilità. Stessi risultati comporta l'uso di strumenti traccianti che, per i limiti di acuità dell'occhio, rendono inintelligibile la superficie incisa e stampata in condizione di normale “messa a fuoco”.
         La superficie che non denuncia e non rivela chiaramente l’elemento segnico costituente l’immagine, evoca la struttura dell’informazione visiva così come viene registrata a livello retinico. La perdita di evidenza e di corporeità del segno possono rendermi scontato il ricorso ad elementi figurativi imitativi e descrittivi, simili a quelli fotografici, di cui potrebbero - per tale natura caotica ed indeterminata del segno - diventare interpretazione, citazione o semplice traduzione. In tale ambito il segno si mimetizza, acquisendo valore mistificatorio.
In assenza della possibilità di leggerlo emerge, dall’osservazione del lavoro, lo stupore. Lo stupore di ritrovare sul foglio l’impenetrabilità dell’equivalente brano naturale; lo stupore di essere riusciti a ridare all’occhio ciò che l’occhio ha registrato sulla retina.
         L’esercitazione sulla resa illusionistica è quindi destino o scelta d’inevitabile tributo ad una procedura inintelligibile all’occhio del fruitore.
b) - credo che, cercando di non cadere nell'applicazione del segno-segnale, il mantenere ad un livello più equilibrato il rapporto con l’evidenza segnica, mi offra maggiori occasioni di evitare le nevrosi di cui sarei preda nell’inseguimento della riproduzione imitativa ed illusionistica del dato visivo, ove il vincolo delle apparenze finirebbe col costituire fastidioso gravame. Mi riferisco ad un livello della dimensione del segno e della sua organizzazione che non rinneghi, defilandola, la sua natura grammaticale e significativa, permettendone chiara e naturale lettura.

FIORE, 1975 – 76.
Bulino su zinco 150 x 195
Primo uso del bulino con rischio di stigmate
(la cicatrice non se ne è più andata)
ESTATE, 1976.
Acquaforte su zinco
dimensioni variabili tra 245 x 330 e 210 x 250
Serie di 6 lastre con tentativi di applicazione di colore.


















         





         Rilevo che evidenti differenze emergono nei destini che seguono ad una scelta.
Quando s’assiste all'azione di un bravo illusionista ci si scopre più soddisfatti ed appagati dallo stupore che suscita anziché per quanto rappresenta: non interessa tanto il “coniglio”, quanto la sorpresa di vederlo uscire vivo, vegeto e grazioso dal “cappello a cilindro". L'operatore di tale tipo di rappresentazioni si connota, ed è connotato, per bravura e abilità, non per la particolarità di cosa esprime

         Credo possa essere condivisa la considerazione che la rappresentazione più è illusionistica più richieda un atteggiamento teso all’esecuzione dell'immagine da raggiungere, non al tentativo di generare un’immagine da conquistare.
Tale indirizzo al lavoro richiede soggetti preventivamente selezionati, preparati alla bisogna, studiati, documentati e organizzati in modo tale da conservare nel tempo le dimensioni, l’orientamento e l’equilibrio chiaroscurale. La particolarità dei soggetti rappresentati ha in ogni caso una sua importanza perché, si converrà, l’esibizione risulterebbe viziata da un ché di fastidioso se, dal “cilindro” l’illusionista cavasse fuori una pantegana, anziché il coniglio.

L’esecuzione quindi è esaltata se la scelta sarà operata su soggetti ad alto valore simbolico ed affettivo, desunti dalla rappresentazione di ciò che era, di ciò che è stato e di ciò che questo è diventato. L’immagine che ne nasce è conservatrice, nei casi migliori è venata da malinconici rimpianti, antiquariale e documentale; negli altri è banale e patetica.
Il procedimento esecutivo condiziona l’operatore in una dimensione innaturale, dotandolo di protesi oculari a molti ingrandimenti, di strumentazione grafica, di preparazioni del supporto e di fasi operative tendenti ad avviare e conservare le possibilità di lavoro che consentano di operare il segno, altrimenti inintelligibile in condizioni normali.

         Che dire del destino dell’altro?

Ottimisticamente credo rimanga ogni potenzialità, privata del “cappello a cilindro” che ne faccia da mediatore.

Rappresentazioni di brani di un’esperienza umana hanno necessità di trovare mediatori attivi:
- che ne operino la lettura e l’analisi, privi del pregiudizio che porta ad accettare il prezzo che volentieri si paga per fruire conferme e piaceri noti e rispondenti alle attese; - che li assumano disposti a cercare non solo conferme, resistendo alla passiva sicurezza delle apparenze, e se ne approprino senza l’esclusivo appagamento dello stupore e dell’emozione nostalgica o patetica, consci che l’immagine è elemento conflittuale da governare in un rapporto relazionale irrisolvibile ed inesauribile.
- che li collochino, rivestiti, nella sfera della loro esperienza, come essenze stimolanti.
- che ignorino le operazioni “sottotraccia” e che, nella visibilità del segno, accettino l’inconciliabilità tra segno di progetto e segno realizzato, rifiutando il disperato tentativo di annichilire la percezione della traccia col ricorso a protesi oculari.
- che fruiscano di un’immagine che restituisca il filtro dell’esperienza che l’ha vissuta e assimilata, superando l’ostentamento illusionistico dell’apparenza retinica.



COPRICAPO PER SIGNORA (op. n° 1), acquaforte 134 x 96
Inizio della numerazione progressiva delle incisioni in ordine di realizzazione
Credo debba essere mantenuta la visibilità del segno anche ai più presbiti che possono imbattersi in esso, sia per onestà che per necessità: il segno non è un paria, buono soltanto ad esistere come componente infinitesimale per superfici a struttura caotica, da sfruttare ad ogni scopo illusionistico. Il segno è registrazione tentata  e limitata d’una intenzione: è parola letta e recitata; è notazione. E scrivere o leggere un testo, con sul naso “lenti” da ingrandimento, è operazione incongrua, al più necessaria ad un impiegato della Zecca o ad un falsario.


Il segno è preghiera che, se si ha fede, ha bisogno e coraggio di “recitare ad alta voce” perché Dio non sia almeno infastidito dai “sommessi brusii” che si levano tra gli “oranti” e irritato dalla perdita di senso dell’operazione con la cantilenante, mascherata ripetitività, ipocrito rimedio alla mancanza di fede.

Il segno è un atto di senso e di consapevolezza che ha da essere mostrato nella sua evidenza corporea, che, come tale, potrà non piacere, ma che mai, vergognoso, dovrà essere esiliato nell’illeggibilità.

Credo fiduciosamente che valga la pena semmai di offrire segni anziché esibire inarrivabili abilità che scimmiottino coni e bastoncelli, il granulo di alogenuro d’argento o il pixel, nella convinzione che il segno è dell’uomo il quale mai potrà ridursi o identificarsi con una retina, una pellicola fotografica o un Charge - Coupled Device.
Settembre, 1986 – Novembre 1991 – Dicembre, 1997
 
SELF MADE LEDA, 1981. Disegno inchiostro su carta (foglio cm 50 x 70)



         









Lavorando con tecnica diretta su matrici metalliche viene a porsi lo scarto rilevabile tra queste e le relative stampe su carta. Scarto che non equivale alla polarità positivo-negativo che si evidenzia dall’esame di matrici e di stampe elaborate con altre tecniche, ma che intendo porre come duplice inversione di significato tra segno scavato VS segno stampato e tra superficie risparmiata sul metallo VS superficie bianca sulla carta da stampa.

Sulla matrice il segno è luce, che s’è tolta solo materia con lo scavo. La finestra di fronte ne dà, sull’altezza del segno, almeno tre valori chiaroscurali: a partire dall’alto, prima lo scuro, poi un sottile tono medio ed ultimo, l’abbacinante riflesso metallico.
E’ un segno vitale e mobile nel variare dell’orientamento dei segni e della lastra, rispetto alla fonte di luce.

Sulla carta il segno è elemento riportato, appiccicato dalla pressione del torchio dotato di uniformità di tessitura e di tono in tutta la sua altezza.
E’ un segno statico, rappreso e fermo al variare del suo orientamento, muto alla fonte luminosa.
 
ERPICATO, 1982. Disegno inchiostro su carta (foglio cm 50 x 70)

La prima inversione di significato è prodo
tta dunque dalla perdita di vitalità luminosa del segno, nella sua opacizzazione, acquisita nella matericità dell’inchiostro da stampa.

Sulla matrice la superficie risparmiata, che separa valori d’ombra e baluginii metallici, ha valore neutro, vergine; caratteristico del materiale non lavorato: spesso poi i giorni di lavoro e l’esposizione all’aria iniziano processi di ossidazione che la rendono grigia e non riflettente.
La superficie, stampandosi sulla carta senza lasciare traccia, acquista una serie di differenze apparenti di luminosità che le conferiscono vitalità e vibrazione: questo per le delimitazioni che, segni opachi, variamente organizzati, e fortemente contrastanti per colore procurano.

La seconda inversione di significato è prodotta dall’acquisizione di vitalità luminosa della superficie risparmiata che perde di neutralità quando è stampata sulla carta.

Si realizza così un’inversione incrociata di significati tra segno inciso-segno stampato e tra superfici risparmiate sulla lastra-superfici stampate sulla carta; dove l’inversione è provocata dallo scambio - tra matrice e stampa - di valori luminosi (dell’indice di luminosità) tra segno inciso e superficie risparmiata: dove cessa di brillare il segno inciso, “s’accende” il riflesso della carta.

SPAVENTAPASSERI, 1983. Disegno inchiostro su carta (foglio cm 50 x 70)

         Tale scambio mantiene e conferma la parità estetica tra matrice e stampa, giacché non si verifica dono unilaterale, con perdita e guadagno dell’una sull’altra.
La coerenza che posso raggiungere sulla lastra può trasformarsi in equilibrio “altro” sulla stampa, dimostrando di godere entrambi di dignità ed indipendenza estetica.
Non mi è possibile operare una scelta che escluda la stampa, perché considero l’operazione di scavo come fase di un processo che non può non fare seguire al segno scavato quello stampato e, alle aree di metallo risparmiate, la luminosità riflessa dalla carta.
Non credo mi sia possibile raggiungere un livello di esperienza che consenta, a priori, di compiere la lettura dell’inversione incrociata dei significati per ricavarne indicazioni operative per organizzazioni di segni utili: la stampa riserva sempre sorprese.
Volendomi garantire la possibilità di conservare la stampabilità della lastra - ovvero di mantenerne la natura di matrice - avanzo nel lavoro tentoni, riempiendo per quel che è possibile i segni già scavati e procedendo per stampe di stato prima di riprendere a scavare. Il cammino è reso così frastornante da tale ambiguità che, spesso, impeti di irrazionalità e l’inerzia stessa dello scavo, possono indulgere nel convincere di stare realizzando un oggetto svincolato dalla funzione di matrice.
Il lavoro e l’attenzione condotti unicamente sulla lastra di metallo, possono portarmi a conseguire risultato unicamente verificabile sulla medesima o su stampe bisognose di ritocchi.

VALICO, 1984. Disegno inchiostro su carta (foglio cm 50 x 70)
         Spesso la sorpresa generata dalla percentuale di imprevedibilità che la stampa rivela, su organizzazioni segniche scavate - e come tali giudicate ed assimilate per proseguire nello scavo - mi fa balenare soluzioni che vorrei definitive, modelli da riutilizzare, postulati risolutivi.
La comparazione tra segni sulla matrice e segni sulla carta può eliminarmi dubbi ed incertezze emerse nella fase di scavo: dubbi sulla “tenuta” delle loro organizzazioni, sulla stabilità del loro significato, sulla loro dignità ed autonomia. Ma può anche generarne, sconcertandomi, perché spesso accade che certi bianchi (certe luci sulla carta) possono emergere con troppa forza da varchi limitati sulla lastra, o diluirsi oltre misura tra segni troppo lontani.

         E’ una sottile alchimia che, a piccole dosi e mescolando letture di matrice e letture di prove di stato, consente, nello sviluppo del lavoro, di non acquisire o di tenere sotto controllo valori indesiderati; di non oltrepassare il limite - per altro non perfettamente controllabile - che, sempre, fa percepire di maggiori dimensioni il segno scavato (perché più luminoso) rispetto a quello stampato e di maggiore estensione le superfici stampate rispetto alle analoghe risparmiate sulla matrice (perché più luminose).

         Occorre mi mantenga in equilibrio ed equidistante dai fascini diversi esercitati da matrice e stampa; fascini che considero vadano percepiti e fruiti separatamente, con discrezione.
Godere moderatamente della lettura dei segni scavati mi consente di integrare questo piacere con quello provocato dalla lettura delle loro impronte sulla carta da stampa.
Gennaio 1990

TARLATANA, 1984. Disegno inchiostro su carta (foglio cm 50 x 70)



        












 Variabilità all’organizzazione segnica che si vuole uniforme si innesca e si sviluppa dalla disposizione dei segni che ne saranno gli elementi costituenti.
Il procedere da sinistra a destra produce altra organizzazione che la procedura inversa; così accade nel far seguire verso il basso, anziché il salire verso l’alto “file” di segni. Ad un “feroce autocontrollo” spetta poi l’automatizzare ritmato dell’atto che scandisce segno ed intervallo, ché, altrimenti, ulteriore variabilità viene ad arricchire ed ad allontanare il proposito iniziale di organizzazione piana ed uniforme.
Autocontrollo che si dimostra, al pari d’altre proprietà, soggetto a cicli schematizzabili in fasi di avviamento, di culmine e di decadimento: al proposito segue il rodaggio e l’affinamento del gesto che avvia il ciclo che, raggiunto il culmine, dove il proposito compiutamente si traccia, cala, decadendo in concentrazioni o diradamenti dei segni e degli intervalli, per inerzia ed assuefazione allo stimolo.

         Ad organizzazione segnica avviata, soccorre ed inganna quanto, di essa è già presente sulla lastra. Guida ed assieme trappola il già realizzato: testimone attendibile ed ausilio al procedere, maestro nel dimostrarti le possibilità di concretizzazione del proposito, ma anche contenitore di quanto prodotto avviando ed esaurendo i cicli attenzionali che, surrettiziamente, possono portare in direzione insolite ed insospettabili. A volte mi sono trovato a limitare gli sviluppi delle tracce che andavano ruotandosi oltremisura, contraddicendo l’intenzione di unidirezionalità con cui ero partito e che ero convinto di stare mantenendo.

         Subdolamente emergono poi in verticale e in ogni altra possibile direzione, il ritmo degli intervalli, delle piegature, delle concentrazioni e dei diradamenti dei segni. Sono organizzazioni che rappresentano un secondo livello segnico, percepibile da ciò che, per esempio, poteva essere la ripetizione di un tratto con andamento orizzontale, e, come tali, suscitatrici di altre configurazioni, di equilibri luminosi, di riferimenti figurativi. Questa percezione tentatrice rende spesso sproporzionato per difetto e paradossale ciò che la origina, ovvero sia il proposito che la traccia, tanto che viene voglia di provare ad articolare direttamente, stimolati da un senso di risparmio fuori luogo.
Il rischio è di scoprire, procedendo in questo senso, che non solo non s’è risparmiato nulla, ma di vedere formarsi altra organizzazione segnica: organizzazione alterata, come di calligrafia imitata. Se sono occorsi, ad esempio, tre interventi successivi per completare un segno, altra cosa ottengo articolandolo con un unico movimento. Non che tale articolazione debba essere necessariamente rifiutata, mantenendo evidenti i vincoli di familiarità con la precedente, ma è altra cosa: di fatto un nuovo elemento segnico, da intendere proprio di un nuovo primo livello articolatorio.

         A lavoro avviato, oramai ai limiti della possibilità di controllo nel coordinare l’uniformità progettata delle tracce, altre fonti di variabilità sono da considerare.
Il filo tagliente dello strumento tracciante esplica al meglio la sua funzione per un numero limitato di segni. Essa non cessa repentinamente, ma si avverte via via calante. Tra un’affilatura e l’altra il ritmo delle tracce - che è ritmo di entrata e di uscita dalla matrice - trova via via ostacolo nel calo di funzionalità dello strumento. Ostacolo che si traduce nel rallentamento del ritmo di stesura, in una variazione dello stato di autocontrollo, in un irrigidimento del segno, in una accresciuta profondità dello scavo ed in un aumento del rischio di perdita di controllo del ferro. Con la progressiva riduzione delle possibilità di intaglio avviene, in sequenza, che il ritmo segno-intervallo cala, aumentando il tempo di scavo; che l’autocontrollo aumenta nel tentativo di governare lo strumento; che il segno aumenta di profondità perché maggiore forza occorre per entrare nel metallo e che la forza applicata, accresciuta per l’irrigidimento dell’articolazione del polso, attenua la sensibilità del segno, accrescendo i rischi di perdere il controllo della traccia.

FISCELLA, 1985. Disegno inchiostro su carta (foglio cm 50 x 70)

         Il calo di funzionalità del bulino è fonte anche di variabilità nel punto di entrata nella matrice, ovvero nella traccia, di spessore crescente, da cui ha inizio il segno; traccia corrispondente all’applicazione progressiva dello sforzo che rivela per prima, nel punto ove si saggia il metallo, il consumarsi del filo dello strumento.

         Ruolo principe lo svolge l’operatore, laddove lo scopo non sia quello della traduzione; dell’uso di organizzazioni segniche da manuale, della realizzazione di esecutivi con tracce guida realizzate all’acquaforte e con gli spessori del tratto raggiunti con ferri di sezione progressivamente maggiorata.

         La traccia scavata nel metallo esprime la ricerca ed il tentativo di armonizzarsi con i propri ritmi. Ritmi del disporre i segni uno dopo l’altro; ritmi del lavoro giornaliero sulla lastra che viene ad accumulare, nelle settimane, brani di avvio, di serena e piana stesura, di stanchezza e di ripresa, di speranza, di soddisfacimento, per un insieme pulsante per indirizzo e variabilità, omogeneità e disarmonie che, avviandosi a saturare la superficie disponibile, occorre “chiudere” con uno sforzo di lettura riassuntivo che tutto calmi e stabilizzi, dando privilegio ad un nome che dia titolo all’abbandono, senso al rimorso di lasciare e carica per nuovamente cominciare altrove.

         I propositi iniziali, per non diventare fonte di frustrante impotenza, vanno posti e perseguiti con la serena consapevolezza che il Tempo e la strada da percorre sulla lastra, influiranno sulla loro teoretica chiarezza. Tempo del lavoro ed il lavoro del Tempo, apriranno imprevedibili sviluppi che - del proposito iniziale - lasceranno intatto solo la spinta ideale, non i freddi e inumani condizionamenti.
Marzo, 1992

OFFERTA, 1986. Maniera a penna ripresa a bulino, 650 x 500













Il titolo da destinare al lavoro sorge alla mia attenzione evocato dalle tracce presenti sulla lastra e dalle prove di stato. Non a lavoro concluso, ma nella fase dove cessa la formazione generativa ed accrescitiva dell’immagine: un po’ come avviene quando, al termine della gravidanza, devi scegliere il nome da dare al figliolo in arrivo.

         Sono le organizzazioni segniche che scavo e che cerco di organizzare e articolare secondo i ritmi giornalieri e la progressiva saturazione della superficie disponibile, a consentirmi di vedere emergere il senso preponderante che mi indirizza alla titolazione.
Non avendo l’intenzione di procedere ad un lavoro a “programma” o di dare corso ad un esecutivo; non avendo, in altri termini, temi da sviluppare e immagini di partenza da tradurre, ma solo segni nella loro oggettiva evidenza, non ho titolo preordinato, ma un ritmo giornaliero.

         Le tracce le eseguo per necessità di scaricare energie; al soddisfacimento di quel sensuale appagamento che, credo, finisce sempre col determinarsi in chi opera con continuità d’uso con strumenti e materiali. Le tracce le organizzo mosso da istinto articolatorio, alla ricerca di accordi e di brani che diano inizio ad un movimento. Raggiunta questa fase, anche in aree separate della lastra, la titolazione compare vaga, sorgendo da queste spesso in termini tra loro incompatibili, o, al più, indicando un ambito generico di significato. Proseguendo nel lavoro giunge il tempo in cui, quanto scavato, finisce per non consentire più altro segno che non serva a confermare un nome, a rafforzare un senso, a rivelare una scelta: compare così il titolo.
E come nel passeggiare insorgono, ad una certa ora, esigenze pratiche riferite ai tempi e ai modi del rientro, qui altre impongono di tornare, di riemergere alla dimensione unitaria della superficie: il titolo acquisisce funzione di guida e di riferimento nel raccordare e cucire assieme quanto scavato nel tempo; nel riclassificare e nel giustificare, scavando ancora, per chiudere l’esperienza.
Quest’ultima fase compiuta sulla lastra, costituisce una sorta di consuntivo su un’esperienza più o meno lunga, frazionata ed eterogenea nei tratti e più o meno soddisfacente, ma tale sempre da consentire di ricominciare altrove.

         Il titolo è il nome che dà senso all’abandono per compiere altro itinerario. Costituisce una sintesi ed un ausilio, anche mnemonico, che condensa l’indicazione del luogo e del vissuto della tappa  sulla via del viaggio in corso.
Febbraio, 1995

CERCANDO TRICOT, 1988. Bulino su zinco, 650 x 500








Autopresentazione mostra collettiva “Luoghi, Una Generazione di Artisti Torinesi”; Amici della Civica Galleria d’arte Contemporanea di Torre Pellice 1995.

         Doveroso per me, nato a Torino nel 1952, nominare i “padri”: Francesco Casorati, Mauro Chessa, Giacomo Soffiantino, Enrico Paolucci, Gino Gorza, Sergio Saroni, Mario Davico, Mario Calandri, Francesco Franco, Nino Aimone, fonti di formazione ed esperienza, non solo specifiche, al Liceo e all’Accademia. Educazione rientrata in circolo dall’altra parte della cattedra e che, oramai da vent’anni, costituisce ruolo importante anche al di fuori del servizio.
Di fatto i circa quarantamila chilometri percorsi per anni, pendolando tra lavoro e residenza, sfrondano definitivamente tutte le idiosincrasie, i dubbi e finanche le insicurezze sul come orientarsi e sulla confusione con la quale, fresco di studi, mi trovavo ad operare. L’esigenza di lavorare, testimoniandomi anche attraverso tracce da lasciare su un supporto, ha trovato, paradossalmente, le migliori condizioni proprio, quando il tempo era meno disponibile.

         Fine della gioventù e, dal 1971 al 1986 occasioni espositive soprattutto in sedi pubbliche e dall’istituzione patrocinate nella Regione, ma anche a Glasgow, Colonia, Madrid con disegni ad inchiostro e penna.
Il 1986 è anno di malattia e di paura, ma anche di guarigione e speranza; anno ove gli affetti e l’operare trovano più profondi e vitali agganci; anno della prima personale, ancora con disegni; anno del ritorno all’incisione che, dal successivo, costituirà esclusiva tecnica di lavoro e che troverà riconoscimento internazionale replicato nel 1990; anno che inizia il rapporto con Franco Masoero: amico, stampatore, gallerista, editore e mentore che, correndo i suoi rischi, edita nel 1989 una monografia ed inizia a presentare i miei bulini in ogni occasione e sede con tenace ed irriducibile fiducia: dal Salone del Libro di Torino al Diplo Spring Art Book Fair di Firenze, dalla Carta dell’Artista a Parole nel Tempo di Belgioioso, dal IV° Salon International de l’Estampe Contemporaine di Elancourt a Saga 95 di Parigi, e, ancora, Carte d’Arte a Ferrara Fiere, Habitat alla Galleria Estense di Ferrara, Arte Fiera ’95 a Bologna, Le Edizioni Masoero alla Biblioteca dei Frati a Lugano e alla Biblioteca Comunale di Palazzo Sormani a Milano. Decennio ricco di occasioni espositive in manifestazioni internazionali a Vico d’Elsa, Budapest, Biella, Cracovia, Katowice, Varna e nazionali a Roma, Acqui Terme, Bagnacavallo.

Decennio da incisore che va concludendosi e che mi trova, come sempre, a raggranellare tutto il tempo disponibile da dedicare al bulino con lo scopo fondamentale di soddisfare l’esigenza insopprimibile di lasciare segni: tracce che costituiscono il segno del mio tempo, del trascorrere l’esistenza.
Marzo, 1995

INTERTIDALE, 1988. Bulino su zinco, 650 x 500








Realizzando da studente, per otto anni, esercitazioni grafico-pittoriche condotte su modelli e, dal 1975, coinvolgendo gli allievi sostanzialmente sulle stesse cose, ho via via maturato la consapevolezza ed il dovere che quest’impegno scolastico, nonostante tutto, finisce con l’essere parte di me: come operatore di un processo d’acquisizione e di trasmissione di cultura figurativa che, con metodi e tecniche sostanzialmente immutate da secoli, va ripetendosi nell’offerta, che potrebbe titolarsi nel “ così s’apprende a disegnare“ e nel “così si disegna “. Processo di conoscenza che nel modello fisico di riferimento, visibile e misurabile, ha il termine comune attraverso il quale esso si acquisisce e si realizza.

Affermando che la scuola non ha come obiettivo quello di sfornare artisti, ma individui che hanno acquisito abilità di traduzione e l’uso di tecniche e di strumenti propri e specifici all’arte, e che la “partita” va ad iniziare con l’esaurimento del periodo di esercitazione scolastica - quando queste abilità, che ti trovi tra le mani, devi giocartele in autonomia - sono cosciente che molto del condizionamento scolastico rimane, perché costituisce, confortato dai risultati riscontrati tra le mura della scuola, quello che meglio si sa fare.

Terminati gli anni dove in ogni caso, alla fin fine, anche l’alibi dei programmi ministeriali giustifica di per se la “copia dal vero”, (definizione infelice, ma indicativa della cultura che la ha formulata e da accettare solo se si presuppone l’esistenza assurda de la “copia dal falso”), la contraddizione va affrontata, trovandoti libero e solo a dover gestire il desiderio e la necessità di operare in ambito “artistico”.
L’arte e l’operare dell’artista provocano poi reazioni che perturbano il tranquillo tran tran scolastico, dimostrandoti dell’uso alternativo che è possibile tentare di tali elementi linguistici e generando dubbi e riflessioni sulla necessità di operare su posizioni giudicate passatiste ed ormai inattuali e la carica per tentare il rischio dell’ignoto.

Non svolgendo il tuo operare secondo le fasi di un tempo che, dal committente alla commissione, predefiniva tecnica, soggetto, dimensioni e finanche la collocazione del tuo lavoro, finisci a dover lavorare come committente di te stesso, col gravoso compito, soprattutto psicologico, di amministrare una gran libertà di scelta operativa.
Su di essa può agire con maggior profitto l’esercizio di libertà dell’autocommittente, senza i laccioli della ricerca di un “soggetto” da cui partire, come avveniva a scuola.

DUNA NERA, 1999. Bulino su plexiglas, 180 x 140
Primo bulino su plexiglas.

La ricerca dei modi e dei mezzi d’espressione dell’arte hanno sempre a che fare con un’oscillazione tra metodo-mestiere, d’origine scolastica, ed esercizio di libertà, che agisce sulla maturazione successiva: che è poi la conquista di un margine d’autonomia dagli stilemi e dai riti della scuola, nel tentativo di lasciare tracce nella ricerca della definizione della personalità.
Il condizionamento d’origine scolastica e ambientale, frutto di ex insegnanti e colleghi che stimo e che hanno proseguito la strada della resa illusionistica, raggiungendo livelli “inarrivabili” per mestiere e abilità, si è verificato in tutti questi anni e finisce sempre con l’interagire, stante la comune formazione e la contiguità ambientale in cui insieme si opera.
In altri termini sono molti tra colleghi ed artisti che, con il loro lavorare, evidenziano una scelta che parte con l’obiettivo, dichiarato ed esibito, di riprodurre, spesso anche un’immagine fotografica. Supportati da un’abilità e da un’esperienza tecnica specializzata, realizzano la loro “libertà” nella scelta preventiva del ”soggetto”, rimanendo, per il tempo dell’esecuzione, condizionati ad un’immagine già presente e di riferimento, che occorre tradurre: proseguono, in tal maniera, l’esperienza iniziata a scuola per elaborati che ora hanno, per sensibilità, raffinatezza ed abilità addestrata, caratteristiche professionali.

Un’educazione pluriennale di questo tipo educa a tradurre in modo “giusto”, verificabile, quel che vedi.
Questo modo di esercitarsi consente però anche la formazione di un’esperienza che prescinde dal soggetto. Rapporti e proporzioni, contrasti chiaroscurali, tagli compositivi, gamme tonali, tessiture grafiche (per non parlare del colore) costituiscono gli elementi strutturali d’ogni linguaggio figurativo, bagaglio indispensabile per esercitare in campo progettuale.

In questi anni post-scolastici, concentrato sull’articolazione degli elementi grafici, non ho dato importanza alla necessità di realizzare un’immagine preordinata oltreché nel nome anche nel taglio compositivo, in quello luministico, ma questa l’ho lasciata emergere, leggendo, con calma e a stesura avvenuta, l’insieme delle articolazioni grafiche, usate come stimolo, finanche nell’attribuzione del nome (del titolo).

Il mio “grado di libertà” agisce come elemento primario, guidando l’agire sulla superficie. Non ho soggetto, né orientamento del supporto, né composizione o studi preparatori, ma segni, loro articolazioni, e i ritmi di stesura che, giornalmente, riesco ad impostare e a condurre.
Le mie “abilità” non sono al servizio del soggetto, ma, viceversa, nel recuperarlo da un’articolazione ritmica di segni.

Certo è che i due mondi sono confinanti, almeno in fase propositiva. Possono esserlo perché ampia è la zona psicoperativa comune: la conoscenza di una foglia, ad esempio, può generare il bisogno e la volontà di rappresentarla, magari utilizzando tecniche che meccanicamente ne permettano l’impronta o altre che ne riproducano la microtessitura segnica. Risolti i problemi di conservazione dello stato tissutale della foglia e del mantenimento della sua condizione chiaroscurale, è possibile avviarne la traduzione; ma, viceversa, é possibile arrivare altrimenti alla foglia, operando “segni fini a se stessi”, senza la presenza fisica della foglia, che possono poi stimolare e/o condurre alla lettura del significato foglia, attraverso un richiamo mnemonico (riproduzione mentale) della preesistente e comune conoscenza della foglia.

Nel primo caso l’immagine è già presente e va realizzata con autocontrollo e metodo, tutto orientato sull’obiettivo visibile e da centrare, possibilmente senza errore.
Nel secondo l’immagine da perseguire non esiste e va scoperta. Non è possibile adottare alcun piano di lavoro teso ad una sua realizzazione, ma applicare procedure di autocontrollo che seguono, senza rigidità, le fasi ritmiche e naturali della sua messa in opera, del suo sviluppo e del suo esaurimento. Nulla è da sacrificare ad un traguardo inesistente. La metodologia di lavoro si conforma alla condizione psicofisica ed investe superfici del supporto non necessariamente impostate a priori, per un programma di lavoro aperto, teso a realizzare un obiettivo autorganizzantesi. Il lavorare ha termine, quando - tra le immagini possibili - una si rivela con maggiore forza, non, quando è raggiunta l’immagine scelta in partenza.

DISCESA A MARE, 2004. Bulino su plexiglas, 225 x 175
La componente culturale e ideologica è decisiva nella scelta. Accingersi ad una traduzione, dopo aver coinvolto tempo ed energie nella ricerca del testo (immagine) da tradurre, indirizza ad un obiettivo prefissato e, necessariamente, spegne ogni empito di libertà operativa, costringendo l’operatore ad un feroce autocontrollo che deve guidare senza scarti all’obiettivo, applicando “tabelle di marcia” collaudate e funzionali allo scopo.
Questo lo considero “lavoro”: nel senso di mestiere che, come tale, non esenta dalle componenti stressanti, che sempre genera il dover operare senza possibilità di scarti.

Operare senza meta preordinata, tracciare elementi segnici che necessariamente non dovranno, da programma, “stare per”; organizzare superfici senza che, fissato, debba esistere un “sopra-sotto”, un “alto-basso”, un “chiaro-scuro”, un centro attenzionale, consente non di “lavorare”, ma di svolgere una “attività”, di agire senza temere “l’errore”, e di accogliere, con maggiore rassegnazione, anche segni “accidentali” che nessun autocontrollo garantisce di evitare.

Al vantaggio offerto dalla possibilità di rispondere prontamente, puntualmente e con professionalità a richieste specifiche della committenza, dal formato alla tecnica, dal soggetto al taglio compositivo; alla possibilità, quindi, di permettere un’agevole risposta a richieste di mercato con un’offerta “su misura”, si oppone la difficoltà di gestire la necessità di lavoro in assenza di committenze. L’abitudine alla rendita da lavoro professionale e l’organizzazione stessa dello studio, impongono un fare che potrebbe inaridirsi o indirizzarsi altrimenti, se la committenza diventasse sporadica.
Raramente, poi, capitano committenze illuminate che, per stima e rispetto della libertà creativa dell’artista, concedono “carta bianca”. La committenza spesso presenta necessità encomiastica, celebrativa e documentaria, per scadenze ed anniversari che, rivolgendosi al passato, alle proprie origini, meglio accolgono - quando non pretendono - forme d’espressione collaudate, nel solco di una tradizione che non comporti rischi di novità, che potrebbero essere intese in contraddizione alle loro necessità.

In sintonia con questa entra la cultura dell’operatore che, spesso, iniziando per motivi di studio a lavorare “alla maniera di...”, finisce con l’entrare in un circolo vizioso che, portandolo all’emulazione e poi al desiderio - se non di superare il modello, di farsene vivente operativo testimone - lo ferma su posizioni storicamente e linguisticamente definite, e perciò, di per sé, conservatrici nei soggetti e nei modi di rappresentarli. Gli esempi preponderanti di riferimento, negli operatori scolastici ed artistici che mi circondano, non superano, per la calcografia, con le scarse eccezioni, il 1800 risultando, al confronto, ancora rivoluzionario un Morandi e dissacranti certe pagine di Bartolini!

POLIFILO, 2010. Bulino su Plexiglas, 380 x 260

Ai problemi economici, acuiti dalla difficoltà di accettare ed adottare un’organizzazione di lavoro che preveda immagini da tradurre, per esecuzioni in ogni caso appetibili e ben inserite nel solco di una tradizione percettiva - che, nell’abilità della restituzione dell’evidenza della immagine, trova maggior numero di possibilità di diffusione - s’oppone maggiore possibilità di indirizzare la necessità di attività nel campo della ricerca e del piacere, ove l’operatore agisce senza stressanti condizionamenti.

I condizionamenti, di chi opera intorno, emergono indesiderati nel lavoro; condizionamenti non tanto formali e stilistici, quanto legati alla forte illusorietà di opere che mostre e cataloghi presentano nell’ambito della calcografia Tutto ciò è verificabile con maggiore evidenza che in altre discipline, anche per il ruolo marginale che tale tecnica ha avuto nelle avanguardie storiche e per l’uso estemporaneo che molti ne fanno. Ruolo marginale, forse legato all’originale funzione della tecnica calcografica, che appunto nella riproduzione ha avuto ruolo primario e che potrebbe essere indicativo nell’uso, così sviluppato, che ancora conserva oggi.
All’originale funzione della calcografia, - in passato strumento tecnico all’avanguardia nella necessità di dare riproduzione ed illustrazione e poi superato dal progresso tecnologico, che via via ha sempre più reso veloce, precisa e conveniente questa funzione con lo sviluppo di strumenti meccanici ed elettronici - rimane l’odierna, diffusa possibilità d’esibizione di una grande abilità tecnica.

Occorre elaborare capacità e strategie che determinano quell’isolamento necessario ad avviare e mantenere, per il lungo periodo che mi richiede un bulino, la mente sgombra da tali illusorietà, che finiscono, altrimenti, con l’interagire con il mio auspicato desiderio di serenità operativa e di ricerca. Sono necessari grandi equilibrismi perché, non dovendo esserci, da parte di alcuno, la presunzione di essere nel giusto, non soccorre in aiuto, nel cercare soluzione al bisogno, la possibilità di risolvere la questione bollando, le cause di tale condizionamento, in modo radicale.
“Giusto vs sbagliato” non è manicheismo utilizzabile, stante che l’arte è l’universo dei possibili e che il reale è un incidente, un caso del possibile.

Certo è che il possibile di molti è ben radicato in ambiti di potere e di mercato, che tendono a non condividere tale universo e pretendono - spesso riuscendoci - di dare ad esso un centro di controllo, dal quale, in tanti modi, pilotarne l’espansione (o la contrazione ?) con intenti colonizzatori nella gestione d’ogni risorsa.
Maggio, 1997
OFFERTA AD AGNI, 2012. Bulino su Plexiglas (stampa alta), 380 x 260 















Il trascorrere del tempo comporta svolte che possono mutare l’organizzazione dello spazio in cui si opera. Spazio relazionale che varia per rapporti che si sospendono e per altri che vanno ad iniziare. Spazio fisico che ridimensiona i metri cubi in cui vivere, incidere e stampare matrici. Questo scenario, per altri versi comune un po’ a tutti, tratteggia forse il <<normale>> suo svolgersi ed impone <<normali>> ri-adeguamenti e ri-schieramenti, alla ricerca di necessari ri-equilibri operativi.
A tale fatale mutare, la mia identità ricerca continui adeguamenti, provando a resistere allo sterile fatalismo. Identità fatta in gran parte di segni scavati che, per circa vent’anni, ho ritrovato sulla matrice prodotti dallo scavo e calcograficamente stampati sulla carta.

Ora la necessità ridefinisce il segno a cominciare dall’azione fisica che lo produce. Ciò che il bulino incide non può più essere segno, ma la sua antitetica, complementare compagna: la superficie risparmiata.
Viaggio agli antipodi, dal nero al bianco, dalla materia all’antimateria, dal positivo al negativo, dalla figura allo sfondo, dalla polarità all’antipolarità, dal maschile al femminile. Come catodo-anodo, latitudine-longitudine, settentrione-meridione, oriente-occidente, boreale-australe, ascissa-ordinata, altre complementarietà direttamente accompagnano l’adeguamento che mi verificano lo specchio e la carta d’identità: castano-canuto, allievo-insegnante, celibe-coniugato, figlio-padre, normovedente-presbite (per ora).

L’essere è allora un’entità tratteggiata temporalmente che, come in ogni viaggio che aspira all’orientamento e alla traccia, può solo percorrersi lungo una sfera ed una serie di rapporti diametrali, ove il sole ed il segno, a volte, sorgono dal mare-matrice, altre vi tramontano. Altre ancora generano veglia operosa in sua mancanza e riposo-assenza in sua ininterrotta presenza.
Come il caldo estivo della natività dicembrina ed il freddo dell’assunzione agostana, il segno degli antipodi, deve cambiare rapporto con il contesto ambientale.

Mi ritrovo per necessità e conseguente scelta operativa nell’ambito tecnico e mentale della stampa alta, impropriamente della xilografia. Perché é anche già risultato che non è precisamente definibile, nell’ambito della grafica incisa, il nome che definisce la tecnica esecutiva. Potrebbe coniarsi, se già non lo si è fatto, plexigrafia (sull’esempio di linoleumgrafia, dal nome commerciale del materiale usato) o, più in generale, per evitare l’uso di marchi di fabbrica che renderebbero imprecisa l’indicazione con l’uso del prodotto di una altra ditta, plastigrafie come termine volgare, oppure, con termine tecnologicamente corretto resinografie o, più specificamente metacrilatografie.

Nell’altro emisfero la vita e gli strumenti per viverla non cambiano; a patto di riuscire a modificare l’abituale status mentale che mi permetta di governare i brividi e i comportamenti maturati dall’altra parte che, istintivamente, potrebbero ancora ripresentarsi a guidarmi e portare ad habitus fuori stagione.

Dalla mia confortano le indicazioni storiche, perché l’ambito in cui mi trovo non è inesplorato, ma il luogo d’origine della grafica incisa che poi, alla ricerca di nuove possibilità colonizzò altri territori, evolvendo agli antipodi.
L’alternarsi delle possibilità che impongono di indossare i panni ed il ruolo del <<nativo>>, comportano l’elaborazione nella nuova collocazione, di superare la regressione che potrebbe sorgere abbracciando i motivi che hanno segnato storicamente il successo della tecnica calcografica sul quella xilografica, accettando la resa di molti al segno inciso, alla <<modernità>> della diretta determinazione della traccia.
Il termine modernità ha comunque cessato, dai primi del ‘900, di avere gran pertinenza nell’ambito incisorio, avendo, anche la calcografia, perso progressivamente appeal nell’ambito della modernità, che ha sempre puntato a sviluppare tecniche e tecnologie grafiche sempre più veloci, colorate, ricettive ed accoglienti.
Cosciente dunque che tale isolamento è proprio di tutta la grafica incisa, penso mi rimangano maggiori possibilità di ricerca quanto maggiore può apparire scarsamente appetibile il contesto tecnico-operativo.

Rifiutando, in scarsa, ma buona compagnia, la facile e banale identificazione tra modernità – strumentazione e tecnica della modernità – conscio che non siano la scelta e l’uso dello strumento a connotarla, ma solo la possibilità di lasciare tracce che trovino, tra i contemporanei, possibilità di lettura ed integrazione – rimango determinato nella convinzione positiva dell’apertura a ogni possibilità operativa.
Maggio, 2005

LA RONDINE DI THOMAS TENTA IL RITORNO, 2013. Bulino su Plexiglas (stampa alta), 380 x 260