lunedì 31 ottobre 2011

I CENTO PERSONAGGI PIÙ POTENTI DEL MONDO DELL’ARTE NEL 2011

Anche quest’anno ArtReview ha stilato la classifica dei 100 personaggi, tra artisti, collezionisti, galleristi e critici-curatori, più potenti nel mondo dell’arte: ECHISENEFREGA!

venerdì 21 ottobre 2011

NUOVE METAFORE

Richard Müller
Der Keine Mensch (Il piccolo uomo)
acquaforte, 1918






Gli antichi consideravano la tecnica intimamente legata all’arte, infatti il termine greco techné comprendeva sia l’aspetto strumentale e funzionale della tecnica sia l’aspetto creativo.

Le tecnologie informatiche più aggiornate non si configurano come un ulteriore mero strumento disponibile per l’artista (al pari di matita, pennello, scalpello, bulino, macchina fotografica…), ma come un complesso processo di elaborazione digitale multimediale del messaggio artistico, la sua immissione in Rete e il rimodellarsi mediante le possibili esperienze interattive.
Insomma non basta usare il computer per risultare “attuali”, non basta che l’immagine sia elaborata digitalmente, usando quindi uno strumento nuovo e diverso per fare le stesse cose del passato, l’artista deve saper interpretare la nuova tecnica, oggi più che mai auto-referenziale e auto-giustificante, e darle un senso simbolicamente rilevante.
Si tratta di ipotesi, possibilità, opportunità che trovano già concreta applicazione e sono in continuo sviluppo tanto da far apparire sclerotizzata anche la cosiddetta “arte contemporanea” che tende a rinchiudersi sempre più in se stessa, alimentando lo stereotipo dell’artista che vive della propria esclusività, producendo “trovate” più o meno provocatorie, riducendo il “fare” artistico (per lo più delegato a terzi) a soluzioni d’effetto troppo facili per non apparire sospette, determinando, in definitiva, una condizione di appiattimento culturale e la perdita del significato di ogni pratica artistica. Un “sistema” che ha essiccato la linfa creativa degli artisti, mummificandone la ricerca espressiva nella coazione a ripetersi e classificandoli per “quotazioni”, imbrigliati nel circuito di un mercato che attribuisce un arbitrario valore esclusivamente economico dipendente dalle logiche delle lobby curatori-galleristi-collezionisti.
L’”arte contemporanea” rispecchia il nostro tempo storico , ma non ha più capacità di agire su di esso, rappresenta il sistema come è, non come potrebbe essere, di conseguenza anche l’estetica è stata assorbita dalla comunicazione: il mondo pubblicitario si è appropriato di numerosi codici appartenenti all’arte e il lavoro di molti artisti appare frutto del marketing delle agenzie pubblicitarie, concependo l’opera in funzione delle sue possibilità di impatto mediatico. Parecchi gesti apparentemente provocatori e trasgressivi sono in realtà generati per attirare e nutrire il sistema dei media.
Se questa è la situazione (e questa è la situazione), provate a immaginare in quale posizione possano trovarsi oggi i linguaggi artistici più tradizionali: disegno, pittura, scultura, incisione, fotografia analogica; mentre la specificità dell’architettura, con altre problematiche non meno complesse e urgenti, pare sottrarsi al coinvolgimento diretto nel dibattito più propriamente artistico.

Quel che ritenevo di poter dire sul rapporto tra incisione e arte contemporanea l’ho già scritto nei post etichettati “Contemporaneamente”. Non si tratta di diagnosticare stati di coma, più o meno irreversibile, o di morte, più o meno apparente, come è sempre accaduto i nuovi linguaggi, per un buon tratto, si affiancano a quelli già esistenti.
Da punto di vista dello studioso, dello storico, del critico, dell’osservatore freddo e distaccato è facile affermare che l’arte, che è sempre stata la fucina delle metafore, oggi stenta a generale, quindi se l’arte non ritrova la capacità di impatto sulla società, la sua scommessa è perduta.
È una dichiarazione di principio indiscutibile che anche il dilettantismo del blogger non ha difficoltà ad enunciare e sostenere e che scava l’invalicabile trincea tra chi teorizza e l’artista che opera, lasciandogli tra le mani la patata bollente, ovvero, con altro analogo modo di dire, è sempre toccato all’artista “togliere le castagne dal fuoco” non certo ai teorici che possono soltanto gustarle o disgustarsi.

Per quanto si possa fingere o illudersi (ricordate la “ Sindrome di Psycho”) non c’è dubbio che l’arte dell’incisione sia oggi ridotta al suo minimo peso storico, al minimo della sua necessità sociale, ma avendo raggiunto (o più probabilmente superato senza accorgersene) il massimo delle sue possibilità espressive.
Io sono tra quelli che si chiedono se abbia ancora senso che esista e, sul piano teorico posso soltanto ribadire la risposta già enunciata: se c’è una chance affinché l’arte dell’incisione riesca a ritrovare un ruolo propositivo, è da ricercare nella sua capacità di uscire dalla nicchia e ritornare a essere funzione simbolica per la società rigenerando la facoltà di creare metafore e miti.
Quanti sono gli artisti consapevoli di doversi misurare con questa problematica? Quanti sono di artisti disposti a raccogliere questa sfida?
Non chiedo di meglio che conoscere l’artista che riesca a tradurre in pratica questo assunto, ma, in questo momento, non vedo incisori particolarmente consapevoli e disponibili a questo tipo di confronto.
D’altro canto sono sufficientemente schizofrenico da riuscire ad ipotizzare la reazione contrapposta a questa concezione. Nell’impossibilità di ogni compromesso con spirito polemico e atteggiamento nichilista e provocatorio si può sostenere che l’unica ragione di esistenza vada trovata nella radicale esasperazione delle differenze.
Nella conclusione del post HOMO FABER http://morsuraaperta.blogspot.com/2011/06/homo-faber.html facendo riferimento al “Super Senso”, ho evidenziato le peculiarità espressive inimitabili e insostituibili di un incisione.
Dunque puntare ad essere un privilegio elitario, più esclusivo di quanto non sia già, l’esaltazione del talento individuale e delle abilità manuali. Questo vuol anche dire che c’è posto solo per una sublime qualità, al bando ogni mediocrità neanche la sufficienza basta per reggere il confronto.
Se i sentieri che l’incisione sembra oggi percorrere risultano abbandonati e non portano da nessuna parte Chissenefrega; l’artista ha il diritto di smarrirsi, di errare nel sia nel senso di sbagliare che di aggirarsi senza meta.
Se un artista è un “vero” artista, incisore o programmatore al computer poco importa, non potrà fare niente di diverso da quello che sente di fare e le dinamiche sociali, nuovi miti e metafore, le interpretazioni dell’autorevole teorico, o dell’improvvisato blogger, in alcun modo potranno condizionarne le scelte espressive.

sabato 8 ottobre 2011

PROVA DI RESISTENZA

Agostino Lauro
Cervi assaliti dai lupi, d’apré Gauermann
acquaforte e bulino
1864

















Cari amici,
Vi comunico ufficialmente che la Galleria Sant'Angelo riapre tra pochi giorni.
Ho avuto bisogno di questa pausa di "riflessione", anche per capire che per me la Galleria è una necessità, un diversivo alla sterilità del mio lavoro professionale.
La decisione di riaprire non è stata accelerata da un colpo di sole estivo, ma da considerazioni che non escludono quanto ha scritto M. Twain:
"Tra vent'anni non sarete delusi dalle cose che avrete fatto, ma da quelle che non avete fatto. Allora levate l'ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate. Scoprite."


Con queste parole, giuntemi rimbalzando tra le caselle di posta elettronica, Massimo Premoli, titolare della Galleria Sant’Angelo in quel di Biella, ha comunicato la ripresa dell’attività.
Per commentarle si potrebbe adottare la formula “poche, ma sentite parole” ed è certo che denotano una sensibilità non comune a certi bottegai dell’arte, ma parafrasando il Bardo: non sono qui per elogiare Premoli.
Comunque è una notizia che reputo incoraggiante, certo una goccia nel mare dell’indifferenza nei confronti dell’incisione contemporanea e in un territorio decisamente ostile ai linguaggi figurativi tradizionali, ma è la persistenza della goccia che scava anche la dura roccia.
Importano poco le motivazioni personali per le quali una galleria d’arte esiste, la sua presenza in un territorio è di per sé valida, “culturalmente stimolante” per usare un’altra frase fatta, anche prescindendo dal concreto giro di affari che riuscirà a movimentare. Quel che conta è che sia attiva e condotta con sensibilità, qualità e coerenza.
La mostra inaugurale del nuovo corso, dedicata a Mario Avati, sembrerebbe confermare la stessa “linea editoriale” precedentemente adottata. In passato ho avuto modo di visitare la Galleria Sant’Angelo esattamente solo due volte, non posso dire che tutte le proposte mi abbiano convinto, ma riconosco una coerenza nelle scelte.
Ritengo che le gallerie d’arte debbano possedere un profilo ben delineato, caratterizzarsi ciascuna per la proposta di uno specifico linguaggio artistico, non condivido l’idea del supermarket dell’arte che offre di tutto solo al fine di intercettare i gusti più disparati e non sono neanche sicuro che commercialmente funzionino meglio.
Fin qui è con “l’ottimismo della volontà” che colgo l’aspetto positivo dell’iniziativa, ma l’occasione è, come sempre, spunto per una considerazione più generale e, con “il pessimismo della ragione”, evidenzio che un’attività che si realizzi, nel migliore dei casi, in “pareggio di bilancio” conferma la tendenza alla dissoluzione del mercato dell’incisione che ho più volte già rilevato.
Certo esistono hobby più costosi, l’arte è ritenuta anche terapeutica per chi la pratica e non vi sono controindicazioni per tutti gli altri che possono sempre volgere lo sguardo altrove.
Posso apprezzarne la determinazione, posso convenirne che è meglio così che niente, meglio così che la “galleria “ nello studio dentistico (una notizia ricevuta recentemente, non so di cosa si tratti di preciso, magari l’allestimento è impeccabile, pertanto sospendo ogni giudizio, ma non si può dire che qualunque iniziativa sia valida e che tutte si equivalgono). Devo tuttavia rammaricarmi ritenendo l’iniziativa di Massimo Premoli un altro sintomo di quella che, in precedenti post, ho denominato la “Sindrome di Psycho” che, dopo essersi ampiamente diffusa tra critici, studiosi e artisti, viene qui ufficialmente diagnosticata in un gallerista e non si escludono altri casi non ancora conclamati.
Non voglio aggiungere altro per non ripetere quanto già scritto (per esempio SULLA CRISI: http://morsuraaperta.blogspot.com/2011/02/sulla-crisi.html).
Non posseggo la ricetta della formula salvifica, di un vaccino o di una efficace terapia, ma sono convinto che i problemi non si risolvono con la rimozione, più o meno inconscia, ed eludendo il confronto.
Per questo si è fatto dell’ironia sul bando di concorso e sul progetto di convegno, come se le tematiche sulle quali interrogarsi fossero determinate da iperattività (si stampa troppo?) e vitalità del confronto (Quanto contano i giudizi?). La formulazione di una domanda rivela (involontariamente?) eventuali preconcetti, e non spetta a me spiegare la differenza nel modo di strutturarla, per esempio: “si stampa troppo?” rispetto a “quanto si stampa?”. Resta da sperare che gli interventi al convegno riescano a rivelarne i risvolti concreti.
Forse, come nelle anamorfosi, da certi punti di vista si percepisce una immagine distorta, ma basta spostare, a volte di poco, l’angolo visuale e l’immagine reale si rivela: tutto (quasi tutto) si consuma in un circolo auto-referenziale, iniziando dalla solitaria presunzione di questo inutile blog.

Cosa differenzia il mio punto di osservazione dagli altri?
Non ho interessi economici da tutelare o incrementare: non avendo nulla da vendere e non essendo interessato ad acquistare per speculare.
Leggo: anche le presentazioni nei cataloghi generalmente prerogativa esclusiva degli stessi autori a caccia di refusi.
Osservo: diversamente da alcuni artisti che si limitano a controllare la riproduzione della propria opera.
Sono curioso: senza pregiudizi di genere, anche verso la mediocrità.
Frequento: mostre, galleristi, studiosi e anche artisti non perché ho scritto, o potrei scrivere, del loro lavoro, ma per sincera amicizia (quindi non nel senso di Facebook).
Critico: che non vuol dire soltanto parlar male, ma più genericamente esprimere un giudizio che può risultare anche positivo, mai però col secondo fine di compiacere.
….
Nulla mi appassiona di più.