mercoledì 21 dicembre 2011

COME FARSI CONSIDERARE AFFERMATI INCISORI DI SUCCESSO

Francisco Goya
Né più né meno
Acquaforte e acquatinta
Tavola 42 dei Capricci









Poiché «   si sa che la gente da buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio…», ecco gli esclusivi suggerimenti che avevo anticipato, pensati specificamente per gli incisori si potrebbero adattarsi anche ad altri generi di “artisti”.
Con i più affettuosi auguri di Natale.


Non dedicatevi all’incisione con eccessiva passione, come se non sapeste fare altro e non ponetela al centro della vostra vita.

Non commettete l’errore di credere che l’incisione abbia significato solo in sé stessa; non fate riferimento esclusivamente al mestiere, ma attribuitele in primo luogo il valore di efficace strumento di conoscenza critica della realtà sia direttamente che in quanto metafora.

L’incisione, per voi, non dovrà mai essere semplicemente incisione; sia sempre originale, tradizionale, o anche sperimentale, di ricerca, alternativa… No Toxic che al momento è la più di moda… cioè non resti mai priva di un qualche seducente aggettivo.

È legittimo che un incisore si ritenga specialista di incisione, ma è troppo poco e non basta: dichiaratevi pure conoscitori di tutte le tecniche tradizionali e sperimentali, ma è necessario sostenere sempre che la creatività artistica risiede nel superamento delle tecniche e nella loro ibridazione.
Dichiaratevi inoltre esperti anche di qualsiasi altra cosa (Kilim turchi, poesia Rom, cinema tailandese…) possa aggiungere una ulteriore qualifica al vostro ruolo di artista.
Ne guadagnerete in autorità.

L’incisore di successo si ammanti di teorie.
Quand’anche incidesse poco o niente o realizzasse brutte o insignificanti incisioni, potrà sempre sostenere di averlo fatto a dimostrazione di una tesi, quasi come illustrazioni necessarie, ma per sé trascurabili, di un assunto teorico prevalente.

Non componete un soggetto con un’unica idea chiara e ben determinata, ma piuttosto su un insieme di idee confuse e in contrasto.
Di fronte a un’idea lampante, i vostri critici avversi potrebbero considerare la facilità d’interpretazione come un banale disvalore.
Un coacervo di idee è più difficile da penetrare, inoltre nella mescolanza ognuno può ritrovare quello che più gli aggrada.
Le sgrammaticature, le incongruenze, le scompostezze… sfuggiranno alla maggior parte degli stessi critici.

Dichiarate che per incidere una lastra vi occorrono mesi di lavoro e infinite prove di stato, per questo la vostra produzione è meditata e contenuta.

Mai stampare direttamente le proprie incisioni, affidarle esclusivamente allo stampatore di fiducia.
Occorre avere comunque uno stampatore di fiducia anche se non si è mai fatto stampare niente.

Attribuite alle vostre incisioni un prezzo alquanto elevato e fate in modo che non si possa trovarle in vendita (è facilissimo, basta non fare niente), sarà la dimostrazione che la vostra non è dozzinale incisione decorativa e commerciale.

Non preoccupatevi di realizzare nuove incisioni, quelle fatte durante il corso d’Accademia sono più che sufficienti e se ve ne chiedono una recente basta che cambiate l’anno di realizzazione (il titolo può restare lo stesso confermando la continuità della vostra ricerca).

Impiegate il tempo che avrete disponibile per essere presente alle inaugurazioni delle mostre e agli eventi culturali. Poiché questi impegni sono per lo più serali vi avanzerà ancora del tempo e vi si presentano due alternative su come impiegarlo.
Potreste non fare assolutamente niente, ovvero fare quello che vi pare purché non rilasciate interviste, non fate dichiarazioni, soprattutto non fate circolare nulla di scritto, ma questo, va detto, è considerato un atteggiamento ormai superato che ha perso il suo appeal; invece risulterà molto più efficace se a tempo perso vi dedichiate a scrivere, avendo l’accortezza di non occuparvi mai di storia poiché occorre sempre documentare quel che si afferma, perdendo tempo in ricerche, almeno sui libri se non negli archivi, e ogni vostro assunto potrebbe essere smentito da qualcuno veramente esperto.
Meglio scrivere d’altro, di una qualsiasi generalità e soprattutto delle presentazioni di giovani incisori e di colleghi che non assurgeranno mai al vostro livello.
Non c’è alcun rischio, infatti nessuno potrà fondatamente contestare una vostra personale interpretazione.
Fate sempre riferimento alla vostra personale esperienza artistica citando fatti e circostanze che vi riguardano.
Nel commentare le opere non siate mai troppo chiaramente intelligibili, mutuate concetti di estetica, di letteratura, rudimenti di psicologia e qualsiasi altra cosa ostacoli la scorrevolezza della lettura; la formula «Come ha scritto…» seguita da una lunga citazione di qualcun altro, vi accorcerà il lavoro.
Non importa crederci è invece necessario impadronirsi della terminologia e delle frasi precostituite.
Non importa saper scrivere bene, tanto nessuno le leggerà, quel che conta è che il vostro nome compaia nei cataloghi e nei pieghevoli.

Si possono inventare espressioni tanto suadenti quanto privi di reale significato (inequilibrio…sic!), si può ricorrere anche ad ossimori sentenziosi (vertiginosi piani, circolarità del divenire, abissali altezze…) il loro valore sta nel fatto che, proprio perché inspiegabili, si può loro attribuire qualsiasi astratta grandezza, non importa il significato, ma ponete l’enunciato, quale che sia, a titolo della vostra opera.

Se vi invitano a descrivere le vostre incisioni parlate invece di voi stessi, raccontate la vostra infanzia, le vostre letture, i maestri, gli amici (mai i nemici); distogliete lo sguardo dalla concretezza delle cose e puntatelo sull’evanescenza dei sentimenti; utilizzate ogni espediente per divagare, per tergiversare… insomma fate in modo che gli interessati finiscano invischiati in tutti i possibili risvolti umani.

Se desiderate avere un minimo di riconoscibilità fate in modo di essere classificati come originali.
Rientrare in una corrente o in un gruppo ristretto non è da escludere, ma tenetevi alla larga dalle “associazioni”.

Evitate la continua innovazione del linguaggio.
Sforzatevi di non cambiare, trovato un motivo, sia pure banale, afferratelo saldamente e in esso perdurate, così sapranno sempre chi siete.
Probabilmente non vi divertirete più, ma non è questo l’obiettivo.

Non siate introversi, schivi e taciturni.
Per godere di un inossidabile successo artistico la via della mondanità è di certo la più proficua, tuttavia rappresenta l’unica autentica difficoltà in quanto occorre veramente un innato talento naturale che non s’improvvisa e difficilmente si acquisisce.

Fate in modo che di voi parlino quotidiani e vari periodici, più che le riviste specializzate o i libri di storia. Solo così acquisterete una proficua notorietà.
Per apparire nei giornali è sufficiente una qualsiasi futilità purché sia sorprendente e mai riguardi direttamente l’incisone.

Dichiarate che, salvo rarissime eccezioni, l’incisione è inadeguata ad esprimere i miti e le metafore della contemporanea società informatizzata e multimediale.
È possibile che la vostra critica negativa induca qualcuno a credere che se siete tanto severi è perché voi sapreste fare di meglio.

Per attuare quanto è qui suggerito vi occorrerà una consistente dose di mitomania; se sarete in grado di mettere in pratica tutto il successo è garantito e assumerete un’autorità indiscutibile, ma anche limitandovi ad alcuni punti ne trarrete giovamento.

martedì 29 novembre 2011

PER UN NUOVO CATALOGO DI VENDITA



Pietro Parigi (1892 – 1990)
Alluvione a Santa Croce
Xilografia, 1966/70


Alluvione di Firenze, 4 Novembre 1966 (fonte Wikipedia)

















Chi lo trovasse aperto su una qualsiasi pagina potrebbe sostenere, con certezza, di avere davanti il catalogo dei libri pubblicato annualmente dalla Libreria Antiquaria Prandi di Reggio Emilia: identico il formato, identica impaginazione, identica catalogazione, identici argomenti, più o meno gli stessi artisti, è uguale anche il corpo del carattere e solo con un confronto diretto il font risulta diverso…, invece dalla copertina si apprende che si tratta del primo catalogo di vendita (autunno 2011) dello Studio Bibliografico Le Muse di Montecchio Emilia che, oltre a distribuire per corrispondenza il catalogo a stampa, ha anche un sito internet di riferimento http://www.lemuselibri.it/
Vi saranno stati dei precisi ragionamenti dietro una tale “mimesi” e si potrebbero ipotizzare le congetture più disparate.
Una nuova iniziativa commerciale che si affaccia in un mercato asfittico va sostenuta, quantomeno incoraggiata, e auguro a Elisa Lusardi che i riscontri e il guadagno rispetto all’investimento siano tali da consentirle altre e più ricche edizioni.
Ovvio che l’ho spulciato, ma non voglio fare il pedante, quando ci si addentra nella lettura le somiglianze esteriori non contano più, la descrizione è accurata, senza troppa enfasi negli “aggettivi”, l’ambito delle proposte librarie è prettamente artistico (arte italiana e straniera) scandito per tecniche (disegno, fotografia, incisione, scultura…), fortunatamente, per i miei gusti, non si è adottata quella concezione “enciclopedica”, proponendo di tutto e di più, con l’immancabile “manuale di apicoltura”.
Diversi i “pezzi” interessanti proposti ad un prezzo adeguato; da evidenziare una particolare, e rara, attenzione alla xilografia con opere originali di firme storiche (Marangoni, Parigi, Servolini, Wolf, Zetti…) per inciso, trovandomi in argomento, segnalo la mostra di xilografie programmata a Finale Ligure (vedi pagina mostre); senza voler dare “consigli per gli acquisti”, segnalo i Tarocchi incisi da Umberto Giovannini in quanto è anche l’artista anagraficamente più giovane (classe1969) proposto in catalogo e più avanti si capirà il motivo dell’osservazione.
Un catalogo così non s’improvvisa: non s’improvvisano le conoscenze e le competenze per predisporlo; non s’improvvida la scelta dei titoli e per quanto riguarda le incisioni mi interesserebbe sapere se si aveva già la totale disponibilità o se gli artisti e gli eredi sono stati contattati per averle in conto vendita. Consapevole che con questa mia curiosità sembro volermi impicciare nei fatti privati degli affari altrui, sposto subito l’angolo di osservazione su un aspetto che ricollegandosi al post precedente (mi meraviglio come gli spunti si concatenino) trova un pratico riscontro alla relazione tra visibilità e memoria.

Le regole del mercato non distinguono tra frutta, verdura, titoli di borsa e opere d’arte, per lo stesso principio per cui rispetto alle circa 7000 varietà (fonte Wikipedia) si trovano abitualmente in vendita solo quattro o cinque tipi di mele, risultano più facilmente reperibili solo alcuni artisti.
Per chi fosse interessato ai così detti “frutti dimenticati” non resta che armarsi della pazienza necessaria per scovarli. Certo adesso con Internet è tutto diverso, in teoria perché in pratica…, insomma anche se si moltiplicassero i cataloghi di vendita e le gallerie d’incisione, con le dovute eccezioni, ad essere proposti sarebbero, per lo più, gli stessi nomi e sappiamo che un’analisi degli aspetti oggettivi non basta a spiegare perché la mela Golden Delicious è in vendita dappertutto e invece la Mela Saladina o la Rosa di Fondo sono introvabili: influiscono molteplici e a volte imponderabili aspetti.
E tutti gli altri? E, soprattutto, i giovani?
Essere giovani significa automaticamente, per i giovani, avere genio e questa presunzione, si dirà, è di ogni tempo, ma oggi, nello stretto ambito dell’incisione, “giovani” può essere scritto solo con tante virgolette, poiché si è alquanto ridotto il “ricambio” generazionale e, di conseguenza, l’età media si è notevolmente alzata, comunque continuiamo a chiamarli giovani.
Esiste un gap, che non è neanche prettamente anagrafico, tra chi è regolarmente proposto e chi, seppur conosciuto (per le partecipazioni alle rassegne, per aver ricevuto noti premi…) è fuori “mercato” (anche questo virgolettato per riferirci a quel poco che resta); di quelli che non sono riusciti a conquistare (o acquistare?) neanche un briciolo di notorietà neanche a parlarne e il fatto che vendano più o meno direttamente i propri lavori risulta, ai fini della nostra analisi e della persistenza di una futura memoria, ininfluente.
Il grande collezionista d’arte, come l’acquirente di incisioni che si impegna solo per poche centinaia di euro ha comunque bisogno di sentirsi almeno rassicurato in mancanza di garanzie assolute.
Per un giovane e sconosciuto artista (continuo a sottintendere incisore, ma vale anche in altri campi) che dalla qualità delle prime prove appare talentuoso, è fortissimo il rischio che appena trovi uno stipendio qualsiasi smetta di fare l’artista; alcuni hanno smesso anche dopo aver partecipato alla Biennale di Venezia, immaginatevi uno che stenta a trovare riscontri significativi per propria incapacità a relazionarsi o per altri mille motivi o per la semplice, ma inesplicabile, “regola delle mele” sopra enunciata.
Aggiungiamo che, in genere, il compenso richiesto non è significativamente inferiore (come invece dovrebbe essere) a quello di un artista consolidato (per non dire più noto o affermato). S’innesca una reazione di arroccamento: modestia e disponibilità sono sempre state virtù rare e oggi nessuno (quasi nessuno) è disposto ad essere considerato meno di chiunque altro.
Chi si è trovato a contattare i suddetti “giovani” riferisce di essersi scontrato con presunzione e arroganza con richieste di alte percentuali di provvigione, l’assicurazione di un minimo di vendita nel caso di mostre fino alla cessione dell’opera da proporre solo dietro pagamento immediato (capite adesso il perché della mia curiosità sul reperimento delle opere presenti in catalogo?). Più che una orgogliosa rivendicazione di diritti appare un accampare pretese: tutto e subito, nessuno (quasi nessuno) è disposto ad attendere, a “fare la gavetta”, come si diceva una volta.

Pur non volendo generalizzare è indubbio che gli Stronzetti sono presenti in ogni categoria e anche gli incisori, non solo giovani con o senza virgolette (per non dire dei Blogger), non sfuggono alla regola. Chi non è mai stato “cacato neanche di striscio” assurge immediatamente a IGM, ovvero “Inavvicinabile Grande Maestro”, appena viene contattato.
Probabilmente alcuni che hanno la pagnotta assicurata dalla cattedra in Accademia o in altro grado scolastico ritengono di poter fare a meno di confrontarsi con il Mercato che qui merita bene l’onore di una maiuscola. Con molta “posa” e scarsa convinzione si trincerano nella dichiarazione che la propria non è arte “commerciale”, è la tipica reazione di arroccamento precedentemente evidenziata, ma con l’ostentato disprezzo dimostrano lo stesso atteggiamento della volpe nei confronti dell’uva nella nota favola sulla cui morale, più attuale che mai, occorre sempre meditare.


Qualcuno si starà chiedendo quali esperienze, quali delusioni e quali scontri abbiano generato e alimentato cotanta acredine, inoltre quest’attacco in piena regola ha il difetto di essere troppo generico e potrebbe essere diretto contro chiunque.
Non c’era alcuna intenzione di generalizzare e fortunatamente non mancano gli incontri positivi (quei “quasi” che intervenivano a mitigare certe perentorie affermazioni) e anche questo blog è stato occasione per conoscere artisti che vivono la loro arte con autentica dedizione, con consapevole impegno, con misurato senso del valore, ed è una gioia venire a conoscenza di un qualche piccolo o grande passo nel percorso di realizzazione.


Gli incisori eccellenti in Italia non mancano; abbiamo visto, qualche post addietro (PROVA DI RESISTENZA) che c’è chi è disposto a tenere aperta una galleria d’arte anche rimettendoci; adesso abbiamo la conferma che non manca chi rischia un investimento in un catalogo di vendita di libri d’arte e stampe originali: non manca l’offerta di qualità, quel che manca è la disponibilità all’acquisto, attenzione non la disponibilità di denaro, non mancano i soldi, chi li aveva continua ad averne anche di più (non certo disoccupati, precari, operai e pensionati), manca lo specifico interesse ad acquistare opere d’arte realizzate con le tecniche dell’incisione originale perché tante altre “robe” si vendono anche bene.




sabato 12 novembre 2011

PRO MEMORIA

Richard Müller
Todeskampf (lotta con la morte)
acquaforte, 1913
















Non ho mai conosciuto un artista di successo che dubiti del proprio talento.
Chi non è stato baciato dalla celebrità ha almeno l’estro di trovare valide ragioni alla propria sfortuna: troppo raffinato per il volgo; in anticipo (o in ritardo) sui tempi; controcorrente rispetto alle mode; il genere non è quello che piace ai critici; il formato non è quello giusto rispetto al prezzo…
la cosa peggiore è che nel mucchio c’è davvero chi dovrebbe essere apprezzato ed è invece ingiustamente ignorato.
Ho scritto “di successo” non “di qualità” perché i due aspetti non sempre coincidono e perché, appunto, conosco artisti di assoluta qualità, pressoché sconosciuti, profondamente insicuri e dubbiosi del valore del proprio talento.
Il giusto apprezzamento del talento sembra una pratica data per tramontata, se ne avvantaggiano quegli artisti di quart’ordine che meriterebbero solo di marcire all’ombra e invece, vedendo quanto il marketing della confusione segni più punti ogni anno che passa, sperano di arrivare un giorno ad essere famosi e maneggiano tanto da riuscirvi.
Nel caso degli incisori "puri" (coloro che adottano l’incisione come esclusivo o prevalente mezzo espressivo) il destino sembra ineluttabilmente segnato: subire le tipiche, miopi dimenticanze e le angherie della Storia e dei manuali, oblii che sono la colonna vertebrate dei pedantissimi professori, che hanno in mano il borsino dei "Più Celebri".
A ripercorrere la nostra storia dell'incisione ci si accorge che risulta disseminata di artisti avvolti da silenzi critici immeritati. Incisori sopraffini nella tecnica, artisti autentici, sono rimasti relegati nel limbo dei dimenticati benché essere stati dimenticati da certi critici suona più come un onore e un vanto.
È pur vero che tanti dimenticati spesso hanno fatto ben poco per non rimanere tali. In questo oblio ha giocato anche la loro arte del lasciarsi già dimenticare in vita, del procedere intabarrato e sospettoso, curando eccessivamente la loro riservatezza, sfuggendo di proposito le luci della ribalta, escludendosi dai giochi della critica e del mercato, forse perché la naturale discrezione dell’incisione si riverbera nel carattere di chi la pratica con orgoglio e ostinata dignità.
La notorietà di un artista può essere in buona parte costruita con investimenti mirati e strategie di marketing come con qualsiasi prodotto commerciale.
Tuttavia è un errore pensare che il tempo e la “selezione naturale” si occuperanno di far chiarezza riscattando la qualità.
Per coloro che ad un certo momento sono presi dall’ansia di sottrarre all’oblio tutto il lavoro di una vita si presentano ben poche possibilità e così mi ricollego alla brusca conclusione del precedente post ABBOZZO DI RITRATTO.
Alcuni riescono comunque ad emergere, chi per merito proprio, a volte per l'impegno di qualche gallerista o mercante interessato (quando ancora s’interessavano d’incisione), per lo più, la casistica non lascia dubbi, grazie all'opera degli eredi.
Adesso immaginate un valido incisore (di proposito non adotto l’espressione “maestro”) che oggi è intorno ai settant’anni, non è tra quei pochissimi privilegiati presenti nel noto catalogo di vendita (state pensando che se non vi è presente non può essere “valido”? Vi assicuro che vi state sbagliando e nel prossimo post aggiungerò ragioni); negli ultimi dieci anni, se gli è andata bene, gli è stata pubblicata una monografia finanziata dalla pubblica amministrazione o da una banca; una presentazione sull’unica rivista di grafica, qualche articolo su quel giornale che si ripaga con incisioni; è stato invitato ad un paio di rassegne nazionali (che sono anche le uniche organizzate, se si escludono i concorsi ai quali non sarebbe dignitoso proporsi); qualche foglio venduto direttamente a qualche conoscente… accoglierà con fiducia e disponibilità, e sarà generoso nell’elargire le opere, al primo milluzzo che gliele chiederà, gratuitamente, per la collezione privata facendo balenare l’ipotesi di far svolgere una tesi di laurea come effettivamente ha fatto con qualcun altro… magari concordando la versione ufficiale che sono state cedute ad un prezzo forfetario, affinché qualcuno che, in passato, i fogli li ha acquistati veramente non debba dispiacersi nell’apprendere che desso è anche disposto a regalarli pur di fare qualcosa, pur di continuare a far circolare il proprio nome.
Così pensando al “dopo”, quali possibilità si profilano all’orizzonte?
Che una collezione pubblica accetti una donazione non è cosa semplice e comunque se così si riesce ad evitare la dispersione o la distruzione delle opere - sperando che un giorno possano essere scovate per essere presentate in qualche rassegna - dall’altro il rischio di consegnarle a un’eterna sepoltura è altissimo.
Non è infrequente che ad un artista originario di un piccolo centro, che abbia acquisito una certa notorietà, il comune dedichi un piccolo spazio museale con le opere donate dagli eredi, ma non basta essersi fatto ben volere in vita occorre comunque qualcuno di spiccata abilità politica per riuscite ad attuare un tale progetto.
Se qualcuno ha l’abilità di promuoverne la commercializzazione delle opere il nome continuerà a circolare e risulterà efficace anche una fondazione, ma occorre chi se ne prenda cura.
E una volta esauriti i “Se” e i “Ma”?
Non ho una risposta e continuerò a riflettere sull’interrogativo, se qualcuno ha un’idea valida da proporre si resta in attesa di suggerimenti.
Da un’altra posizione si può sostenere che l'eredità degli artisti non potrà raccontare quel che non possiede e svolgere un’attività artistica equivale, sempre e comunque, a lanciare un “messaggio in bottiglia” nell’incertezza che possa giungere a riva e che qualcuno disposto a raccoglierlo ne comprenda il senso, ma il “vero” artista non se ne preoccupa.

sabato 5 novembre 2011

ABBOZZO DI RITRATTO

René Magritte
Volto
acquaforte







Voglio provare a tratteggiare un ritratto. Sarà un ritratto di maniera, convenzionale, che può assomigliare a tanti, come quelli in antiporta negli antichi volumi, inciso a bulino con i tratti paralleli che seguono l’andamento del volto e diventano puntini prima di interrompersi per lasciare campo alla luce; ovvero come il Volto, senza contorno definito, inciso all’acquaforte da Magritte.

Un giovane appena uscito dall’Accademia di Belle Arti negli anni settanta del ventesimo secolo, cerca la sua strada nel campo dell’arte. Appassionato d’incisione allestisce, con altri artisti già inseriti nel giro artistico cittadino, una stamperia, così può disporre del torchio per lavorare ai suoi soggetti e guadagnare qualcosa stampando per gli altri. È un momento di particolare vivacità per la grafica: artisti esordienti o affermati si accostano alle tecniche dell’incisione, si realizzano edizioni, cartelle, tirature di singoli fogli…, le numerose gallerie d’arte in città ospitano mostre a ciclo continuo.
Contemporaneamente si affaccia la possibilità di iniziare ad insegnare, lo stipendio delle prime supplenze fa sì che si allenti il faticoso impegno in stamperia. Presto raggiunge la certezza del passaggio di ruolo che coincide anche col matrimonio e l’arrivo dei figli, così s’impongono altre priorità dando la precedenza alle esigenze familiari. L’arte non può più catalizzare tutte le energie, si riducono gli impegni, si allentano i contatti e progressivamente si esce dal “giro”. È a questo punto che numerose sedicenti promesse dell’arte italiana, assicuratasi la pagnotta mensile, tirano i remi in barca e si lasciano cullare dalla burocratica quotidianità scolastica, disinteressandosi anche di frequentare le mostre per tenersi aggiornati. Per quelli intellettualmente onesti sarà la consapevolezza di non avere nulla da esprimere, qualcun’altro si atteggerà a genio incompreso per il resto della vita, in ogni caso non ne rimpiangeremo la perdita e sarà un sollievo non dover inciampare nella loro nullità artistica. Ma il soggetto che sto tentando di raffigurare è un artista “sincero”, ha un talento istintivo pur non essendo un virtuoso, l’aggettivo più appropriato forse sarebbe “verace” (anche per quel tanto di incolto che l’accezione contiene) ed è consapevole dei propri limiti, pertanto non annulla l’attività artistica che prosegue solo quando può, relegandola ad una propria esclusiva necessità.
Negli anni qualche sporadica partecipazione a mostre collettive, ma niente di significativo. A nulla valgono le sollecitazioni dei conoscenti e della moglie che, caratterialmente diversa, è molto intraprendente e ben saprebbe far fruttare i lavori del marito.
Forse c’è anche un certo complesso d’inferiorità culturale se, per esempio, finisce per divenire amico del custode del museo piuttosto che relazionarsi col direttore e per cogliere le intime motivazioni di un tale atteggiamento di ripiegamento in sé stesso, di ritrosia a mostrarsi, d’imbarazzo ad attribuire valore commerciale ai propri lavori, tutti aspetti che risultano in contraddizione con certi scatti di orgoglio e slanci di entusiasmo creativo e propositivo, occorrerebbero le capacità d’introspezione psicologica di un Leonardo o di un qualche altro rinomato ritrattista, io mi limito a cogliere questo aspetto insondabile dell’animo umano e come niente trascorrono trent’anni.
La frequentazione di un collega più giovane che in qualche modo è riuscito a seguire un percorso di continuità artistica, risultano di stimolo e incentivo, inoltre la maggiore disponibilità di tempo libero dopo il pensionamento e per la raggiunta indipendenza dei figli, fanno sì che riprenda a dedicarsi all’arte a tempo pieno, ma deve constatare che molto è cambiato, il mercato dell’incisione è un fortissima crisi, e non riesce ad inserirsi.
Internet è ormai in tutte le case, è facile reperire i bandi dei concorsi, il fatto che spesso i suoi lavori non vengono accettati non possono intaccare la determinazione di chi si è temprato alla dura disciplina del lavorare innanzitutto per sé stesso, ritenendo che non si diventa artisti per avere il successo di pubblico, si è artisti nel corpo e nello spirito: è una vocazione, qualcosa a cui si dedica la vita indipendentemente dalle mode, dalle tendenze e dai riscontri.
Scopre la “novità” degli ex libris, per i quali le iniziative sono numerose, in qualche momento forse è stato sfiorato dall’idea di entrare a far parte di un’associazione, ma la considerazione che la sola qualità richiesta fosse il pagamento della quota associativa l’ha fatto ritenere un sentiero spianato ma senza sbocco, anche se non può ritenersi del tutto irreprensibile avendo accettato - su istigazione della moglie che non si può sempre contraddire - di accollarsi una fallimentare mostra a pagamento.
A questo punto mi mancano pochi tocchi, soprattutto per meglio definirne lo sguardo che rivolto al futuro si vela di malinconia poiché sente l’oblio incombere su tutto il lavoro di una vita.
I figli hanno intrapreso strade lontanissime dall’arte e vivono all’estero, la moglie, spavalda a parole, sarà veramente in grado e, soprattutto, troverà riscontri?
Troppe incertezze.
Il ritratto è completo, si riconosce quale tipo di artista ho provato a raffigurare, ovviamente non ha i tratti somatici di quello che sgomita e neanche del “grande nome” che non ha bisogno di sgomitare accompagnandosi, in genere, ad un codazzo che può risultare utile e, forse, non si pone neanche il problema che qui si solleva.
L’artista del mio ritratto pensa ad una donazione, si rende conto che le possibilità in Italia sono limitatissime e ritenendo che possa rappresentare un titolo di preferenza il fatto che due istituzioni sono già in possesso di suoi lavori decide di rivolgersi alla Raccolta Bertarelli di Milano (che aveva incamerato tutte le opere di un concorso al quale aveva partecipato) e il Centro di Bagnacavallo che le aveva ricevute in occasione della pubblicazione del “Repertorio”: nessuno gli ha mai risposto.

mercoledì 2 novembre 2011

INTERLUDIO 0.5

Mi sono sempre proposto come Dilettante Appassionato, è la definizione che meglio si attaglia come eteronimo non essendo un artista; non avendo studiato da storico; quanto a criticare siamo tutti capaci e non basta pubblicare qualche recensione o la presentazione della mostra dell’amico; non ho mai avuto rilasciata una patente di esperto e le incisioni possedute sono poche e disparate per un collezionista.
“Dilettante” nel senso di celebrare il diletto non il pressappochismo, “Appassionato” di una passione spinta fino alla mania, fino al vizio, sì dico proprio vizio, poiché in fatto di arte tutto ciò che non si trasforma in un fervore un po’ perverso resta superficiale.
Adesso però anch’io posso fregiarmi di una specifica qualifica: sono un blogger. Fa effetto quando in televisione senti qualcuno presentato così, spesso con l’aggiunta di indipendente, poi ci rifletti è capisci che non vale un cazzo, ma è comunque una forma di riconoscimento d’identità trendy.
Questo blog non è nato con una struttura premeditata, si è andato configurando come una silloge di ispirazioni fortuite, per quanto mirabili.
A poco meno di un anno dall’apertura del blog, sempre più spesso mi trovo a fare riferimento a quanto già scritto nei post precedenti, forse la “funzione esistenziale” del blog si è già esaurita e le iniziative tendenti a “regolamentare” e “normalizzare” le libere forme di espressione in rete non fanno sperare nulla di buono, ovvero, per altri, rappresentano il primo passo verso il controllo auspicato.
Forse è sotto l’influenza inconscia di questo spirito di conclusione che ho scritto i prossimi due post che, non a caso, pongono il problema della memoria da tramandare: la “Disparizione Suprema” alla quale si riferiva Mallarmé in una lettera a Cazalis del 1867.
Non ha più senso riproporre il gioco di prestigio quando il “trucco” è stato scoperto e anche la barzelletta nota a tutti non fa più ridere.
Non si tratta di un momento di debolezza, di incipiente intorpidimento, confessione d’impotenza, disillusione, presa di coscienza dell’inutilità… o qualche altro genere di crisi.
Lontano dai compiacimenti dell’introspezione sono assillato da quello che ho da dire non dal dire. Non so cosa farò, non c’è nulla di preordinato, però so di certo che in questa missione senza oggetto, persino difficile da definire, occorre evitare la tentazione del quietismo e quella, più grave, del fatalismo.
So di essere alla mercé di una realtà che mi supera e nel cuore di questa esperienza non posso sottrarmi all’ossessione grandiosa e delirante della necessità.
In tutto questo c’è molta “messa in scena”, un desiderio d’ingannare innanzitutto me stesso, di vivere intellettualmente al di sopra dei propri mezzi, ma con una aspirazione alla disfatta dato che il fallito, a un certo livello, è incomparabilmente più attraente di colui che è riuscito.
Vedo nei continui rimandi per non ripetermi il sintomo inequivocabile che, almeno sugli aspetti generali, ho già detto tutto quanto avevo da dire e per le situazioni contingenti resta valido il principio espresso nel post DOVERE DI CRITICA (ancora un rimando) http://morsuraaperta.blogspot.com/2011/02dovere-di-critica.html «…non sprecar parole per “le cosine e la cosacce”».
Sempre più spesso si tende a considerare delle “Gran Cose” anche le “cosine”, per non dire delle “cosacce”: tutto deve essere ”evento”.
Nel campo dell’incisione il solo, unico, vero evento possibile è il momento in cui si alza il foglio umido dal piano del torchio nella stampa della prima prova. In quel momento non vi sono folle che assistono e partecipano, l’incisore e solo con se stesso: «La relazione di un uomo con la sua arte contiene implicitamente tutto quanto serve ad accrescere l’uomo e l’arte. Tutto il resto è perdizione».
…E se lo ha scritto Paul Valery…

lunedì 31 ottobre 2011

I CENTO PERSONAGGI PIÙ POTENTI DEL MONDO DELL’ARTE NEL 2011

Anche quest’anno ArtReview ha stilato la classifica dei 100 personaggi, tra artisti, collezionisti, galleristi e critici-curatori, più potenti nel mondo dell’arte: ECHISENEFREGA!

venerdì 21 ottobre 2011

NUOVE METAFORE

Richard Müller
Der Keine Mensch (Il piccolo uomo)
acquaforte, 1918






Gli antichi consideravano la tecnica intimamente legata all’arte, infatti il termine greco techné comprendeva sia l’aspetto strumentale e funzionale della tecnica sia l’aspetto creativo.

Le tecnologie informatiche più aggiornate non si configurano come un ulteriore mero strumento disponibile per l’artista (al pari di matita, pennello, scalpello, bulino, macchina fotografica…), ma come un complesso processo di elaborazione digitale multimediale del messaggio artistico, la sua immissione in Rete e il rimodellarsi mediante le possibili esperienze interattive.
Insomma non basta usare il computer per risultare “attuali”, non basta che l’immagine sia elaborata digitalmente, usando quindi uno strumento nuovo e diverso per fare le stesse cose del passato, l’artista deve saper interpretare la nuova tecnica, oggi più che mai auto-referenziale e auto-giustificante, e darle un senso simbolicamente rilevante.
Si tratta di ipotesi, possibilità, opportunità che trovano già concreta applicazione e sono in continuo sviluppo tanto da far apparire sclerotizzata anche la cosiddetta “arte contemporanea” che tende a rinchiudersi sempre più in se stessa, alimentando lo stereotipo dell’artista che vive della propria esclusività, producendo “trovate” più o meno provocatorie, riducendo il “fare” artistico (per lo più delegato a terzi) a soluzioni d’effetto troppo facili per non apparire sospette, determinando, in definitiva, una condizione di appiattimento culturale e la perdita del significato di ogni pratica artistica. Un “sistema” che ha essiccato la linfa creativa degli artisti, mummificandone la ricerca espressiva nella coazione a ripetersi e classificandoli per “quotazioni”, imbrigliati nel circuito di un mercato che attribuisce un arbitrario valore esclusivamente economico dipendente dalle logiche delle lobby curatori-galleristi-collezionisti.
L’”arte contemporanea” rispecchia il nostro tempo storico , ma non ha più capacità di agire su di esso, rappresenta il sistema come è, non come potrebbe essere, di conseguenza anche l’estetica è stata assorbita dalla comunicazione: il mondo pubblicitario si è appropriato di numerosi codici appartenenti all’arte e il lavoro di molti artisti appare frutto del marketing delle agenzie pubblicitarie, concependo l’opera in funzione delle sue possibilità di impatto mediatico. Parecchi gesti apparentemente provocatori e trasgressivi sono in realtà generati per attirare e nutrire il sistema dei media.
Se questa è la situazione (e questa è la situazione), provate a immaginare in quale posizione possano trovarsi oggi i linguaggi artistici più tradizionali: disegno, pittura, scultura, incisione, fotografia analogica; mentre la specificità dell’architettura, con altre problematiche non meno complesse e urgenti, pare sottrarsi al coinvolgimento diretto nel dibattito più propriamente artistico.

Quel che ritenevo di poter dire sul rapporto tra incisione e arte contemporanea l’ho già scritto nei post etichettati “Contemporaneamente”. Non si tratta di diagnosticare stati di coma, più o meno irreversibile, o di morte, più o meno apparente, come è sempre accaduto i nuovi linguaggi, per un buon tratto, si affiancano a quelli già esistenti.
Da punto di vista dello studioso, dello storico, del critico, dell’osservatore freddo e distaccato è facile affermare che l’arte, che è sempre stata la fucina delle metafore, oggi stenta a generale, quindi se l’arte non ritrova la capacità di impatto sulla società, la sua scommessa è perduta.
È una dichiarazione di principio indiscutibile che anche il dilettantismo del blogger non ha difficoltà ad enunciare e sostenere e che scava l’invalicabile trincea tra chi teorizza e l’artista che opera, lasciandogli tra le mani la patata bollente, ovvero, con altro analogo modo di dire, è sempre toccato all’artista “togliere le castagne dal fuoco” non certo ai teorici che possono soltanto gustarle o disgustarsi.

Per quanto si possa fingere o illudersi (ricordate la “ Sindrome di Psycho”) non c’è dubbio che l’arte dell’incisione sia oggi ridotta al suo minimo peso storico, al minimo della sua necessità sociale, ma avendo raggiunto (o più probabilmente superato senza accorgersene) il massimo delle sue possibilità espressive.
Io sono tra quelli che si chiedono se abbia ancora senso che esista e, sul piano teorico posso soltanto ribadire la risposta già enunciata: se c’è una chance affinché l’arte dell’incisione riesca a ritrovare un ruolo propositivo, è da ricercare nella sua capacità di uscire dalla nicchia e ritornare a essere funzione simbolica per la società rigenerando la facoltà di creare metafore e miti.
Quanti sono gli artisti consapevoli di doversi misurare con questa problematica? Quanti sono di artisti disposti a raccogliere questa sfida?
Non chiedo di meglio che conoscere l’artista che riesca a tradurre in pratica questo assunto, ma, in questo momento, non vedo incisori particolarmente consapevoli e disponibili a questo tipo di confronto.
D’altro canto sono sufficientemente schizofrenico da riuscire ad ipotizzare la reazione contrapposta a questa concezione. Nell’impossibilità di ogni compromesso con spirito polemico e atteggiamento nichilista e provocatorio si può sostenere che l’unica ragione di esistenza vada trovata nella radicale esasperazione delle differenze.
Nella conclusione del post HOMO FABER http://morsuraaperta.blogspot.com/2011/06/homo-faber.html facendo riferimento al “Super Senso”, ho evidenziato le peculiarità espressive inimitabili e insostituibili di un incisione.
Dunque puntare ad essere un privilegio elitario, più esclusivo di quanto non sia già, l’esaltazione del talento individuale e delle abilità manuali. Questo vuol anche dire che c’è posto solo per una sublime qualità, al bando ogni mediocrità neanche la sufficienza basta per reggere il confronto.
Se i sentieri che l’incisione sembra oggi percorrere risultano abbandonati e non portano da nessuna parte Chissenefrega; l’artista ha il diritto di smarrirsi, di errare nel sia nel senso di sbagliare che di aggirarsi senza meta.
Se un artista è un “vero” artista, incisore o programmatore al computer poco importa, non potrà fare niente di diverso da quello che sente di fare e le dinamiche sociali, nuovi miti e metafore, le interpretazioni dell’autorevole teorico, o dell’improvvisato blogger, in alcun modo potranno condizionarne le scelte espressive.

sabato 8 ottobre 2011

PROVA DI RESISTENZA

Agostino Lauro
Cervi assaliti dai lupi, d’apré Gauermann
acquaforte e bulino
1864

















Cari amici,
Vi comunico ufficialmente che la Galleria Sant'Angelo riapre tra pochi giorni.
Ho avuto bisogno di questa pausa di "riflessione", anche per capire che per me la Galleria è una necessità, un diversivo alla sterilità del mio lavoro professionale.
La decisione di riaprire non è stata accelerata da un colpo di sole estivo, ma da considerazioni che non escludono quanto ha scritto M. Twain:
"Tra vent'anni non sarete delusi dalle cose che avrete fatto, ma da quelle che non avete fatto. Allora levate l'ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate. Scoprite."


Con queste parole, giuntemi rimbalzando tra le caselle di posta elettronica, Massimo Premoli, titolare della Galleria Sant’Angelo in quel di Biella, ha comunicato la ripresa dell’attività.
Per commentarle si potrebbe adottare la formula “poche, ma sentite parole” ed è certo che denotano una sensibilità non comune a certi bottegai dell’arte, ma parafrasando il Bardo: non sono qui per elogiare Premoli.
Comunque è una notizia che reputo incoraggiante, certo una goccia nel mare dell’indifferenza nei confronti dell’incisione contemporanea e in un territorio decisamente ostile ai linguaggi figurativi tradizionali, ma è la persistenza della goccia che scava anche la dura roccia.
Importano poco le motivazioni personali per le quali una galleria d’arte esiste, la sua presenza in un territorio è di per sé valida, “culturalmente stimolante” per usare un’altra frase fatta, anche prescindendo dal concreto giro di affari che riuscirà a movimentare. Quel che conta è che sia attiva e condotta con sensibilità, qualità e coerenza.
La mostra inaugurale del nuovo corso, dedicata a Mario Avati, sembrerebbe confermare la stessa “linea editoriale” precedentemente adottata. In passato ho avuto modo di visitare la Galleria Sant’Angelo esattamente solo due volte, non posso dire che tutte le proposte mi abbiano convinto, ma riconosco una coerenza nelle scelte.
Ritengo che le gallerie d’arte debbano possedere un profilo ben delineato, caratterizzarsi ciascuna per la proposta di uno specifico linguaggio artistico, non condivido l’idea del supermarket dell’arte che offre di tutto solo al fine di intercettare i gusti più disparati e non sono neanche sicuro che commercialmente funzionino meglio.
Fin qui è con “l’ottimismo della volontà” che colgo l’aspetto positivo dell’iniziativa, ma l’occasione è, come sempre, spunto per una considerazione più generale e, con “il pessimismo della ragione”, evidenzio che un’attività che si realizzi, nel migliore dei casi, in “pareggio di bilancio” conferma la tendenza alla dissoluzione del mercato dell’incisione che ho più volte già rilevato.
Certo esistono hobby più costosi, l’arte è ritenuta anche terapeutica per chi la pratica e non vi sono controindicazioni per tutti gli altri che possono sempre volgere lo sguardo altrove.
Posso apprezzarne la determinazione, posso convenirne che è meglio così che niente, meglio così che la “galleria “ nello studio dentistico (una notizia ricevuta recentemente, non so di cosa si tratti di preciso, magari l’allestimento è impeccabile, pertanto sospendo ogni giudizio, ma non si può dire che qualunque iniziativa sia valida e che tutte si equivalgono). Devo tuttavia rammaricarmi ritenendo l’iniziativa di Massimo Premoli un altro sintomo di quella che, in precedenti post, ho denominato la “Sindrome di Psycho” che, dopo essersi ampiamente diffusa tra critici, studiosi e artisti, viene qui ufficialmente diagnosticata in un gallerista e non si escludono altri casi non ancora conclamati.
Non voglio aggiungere altro per non ripetere quanto già scritto (per esempio SULLA CRISI: http://morsuraaperta.blogspot.com/2011/02/sulla-crisi.html).
Non posseggo la ricetta della formula salvifica, di un vaccino o di una efficace terapia, ma sono convinto che i problemi non si risolvono con la rimozione, più o meno inconscia, ed eludendo il confronto.
Per questo si è fatto dell’ironia sul bando di concorso e sul progetto di convegno, come se le tematiche sulle quali interrogarsi fossero determinate da iperattività (si stampa troppo?) e vitalità del confronto (Quanto contano i giudizi?). La formulazione di una domanda rivela (involontariamente?) eventuali preconcetti, e non spetta a me spiegare la differenza nel modo di strutturarla, per esempio: “si stampa troppo?” rispetto a “quanto si stampa?”. Resta da sperare che gli interventi al convegno riescano a rivelarne i risvolti concreti.
Forse, come nelle anamorfosi, da certi punti di vista si percepisce una immagine distorta, ma basta spostare, a volte di poco, l’angolo visuale e l’immagine reale si rivela: tutto (quasi tutto) si consuma in un circolo auto-referenziale, iniziando dalla solitaria presunzione di questo inutile blog.

Cosa differenzia il mio punto di osservazione dagli altri?
Non ho interessi economici da tutelare o incrementare: non avendo nulla da vendere e non essendo interessato ad acquistare per speculare.
Leggo: anche le presentazioni nei cataloghi generalmente prerogativa esclusiva degli stessi autori a caccia di refusi.
Osservo: diversamente da alcuni artisti che si limitano a controllare la riproduzione della propria opera.
Sono curioso: senza pregiudizi di genere, anche verso la mediocrità.
Frequento: mostre, galleristi, studiosi e anche artisti non perché ho scritto, o potrei scrivere, del loro lavoro, ma per sincera amicizia (quindi non nel senso di Facebook).
Critico: che non vuol dire soltanto parlar male, ma più genericamente esprimere un giudizio che può risultare anche positivo, mai però col secondo fine di compiacere.
….
Nulla mi appassiona di più.

giovedì 22 settembre 2011

UNA PROPOSTA

«Morsura Aperta» vuole tenere nella prossima primavera, da qualche parte in Italia,
un incontro con gli incisori e i collezionisti,
che sia una tavola rotonda e, se si riesce anche un dibattito,
su un argomento scelto dagli stessi artisti e collezionisti.

Si era pensato di coinvolgere anche altre figure del mondo dell’incisione
(stampatori, galleristi, editori..) ma pare non siano più reperibili esemplari viventi.

Sono stati individuati cinque argomenti cruciali e d’imprescindibile urgenza
riguardanti la specificità dell’incisione,
chi è interessato indichi la sua preferenza partecipando al “Sondaggio”

L’argomento che raccoglierà maggiori preferenze
sarà quello che verrà trattato

1) Le stampe e i giovani. Ci sono stati anni in cui si eccitavano anche sfogliando le
    pagine dell’intimo del catalogo Postalmarket… e ora ?
    Che ruolo hanno i maestri? E i bidelli?
2) L’artista e il suo pubblico: come costringere parenti e amici ad essere presenti alle
    inaugurazioni?
3) Il pragmatismo e il consumismo nel mondo della grafica (qualcuno conosce
    incisori che ancora realizzino tirature e le vendano?)
4) L’arte contemporanea è per solitari? Chi pro e chi contro la masturbazione?
     (intellettuale s’intende)
5) Le moderne tecniche informatiche e la stampa. Perché continuare a farsi il
    mazzo per incidere e stampare manualmente una lastra?

P.S.
Ogni riferimento a fatti reali e del tutto voluto.
Il post riprende un concreto progetto di incontro “che sia una tavola rotonda e, se si riesce anche un dibattito” con soltanto qualche “licenza poetica” nell’interpretazione dei temi proposti.
Chi fosse seriamente interessato a partecipare al "sondaggio" reale ecco il link: www.graficadarte.it/sondaggio

martedì 6 settembre 2011

PREMIO PSYCHO PER L’INCISIONE ITALIANA CONTEMPORANEA

Il Blog MORSURA APERTA bandisce la prima (e unica) edizione del Premio Psycho per l’Incisione Italiana Contemporanea.
Per comprendere il senso del titolo si rimanda alla conclusione del post precedente.
Il Premio è “riservato” a coloro che, anche occasionalmente, si occupano, a vario titolo, di incisione contemporanea in Italia:
Artisti (vedi incisori)
Associazioni (immancabili)
Collezionisti (anche se non acquistano)
Comitati (di biennali, triennali… internazionali, nazionali e di condominio)
Costruttori di torchi (vedi negozianti)
Critici (vedi ultima voce in elenco)
Direttori Artistici (di rassegne e musei)
Docenti (vedi professori)
Editori (vedi galleristi e mercanti)
Exlibristi (vedi artisti e collezionisti)
Galleristi (anche per hobby)
Giurie (vedi comitati)
Incisori (anche scarsi)
Maestri (vedi artisti)
Mercanti (ammesso che ancora ne sopravviva qualcuno)
Negozianti di materiali per l’incisione (che conoscono la situazione meglio di tutti)
Professori (anche in pensione)
Stampatori (anche ex)
Storici (vedi critici)
Studiosi (vedi storici)
Teste di Cazzo (pur presenti in ogni ambito costituiscono una specifica categoria)

Insomma chiunque “dovrebbe accorgersi che i tempi sono cambiati” e invece finge o s’illude (o finge d’illudersi anche per illudere gli altri) che l’incisione sia viva e vegeta, ovvero:
Che gli artisti siano oberati di richieste per nuove lastre e che anzi incidano anche troppo.
Che le stamperie siano in piena attività e che anzi si stampi anche troppo.
Che il mercat sia in fermento con vendite e quotazioni in costante ascesa e che anzi crescano anche troppo.
Che le Gallerie d’Arte e i Mercanti specializzati in incisione siano numerosi e che anzi la concorrenza sia accentuata anche troppo.
Che le mostre personali, le rassegne collettive e i concorsi a premi siano frequenti e che anzi se ne organizzino anche troppi.
Che nelle mostre d’arte contemporanea l’incisione non manca mai e che anzi se veda anche troppa.
Che gli studenti delle scuole d’arte e i giovani artisti siano interessatissimi ad apprendere le tradizionali tecniche d’incisione e che anzi i corsi siano affollati anche troppo.
Che le riviste d’arte si interessino costantemente di incisione e che anzi se ne occupano anche troppo.
Che il concetto di originalità non è messo in discussione dalle moderne tecniche informatiche e di stampa digitale e che anzi si è già inutilmente polemizzato anche troppo.
Che il confronto teorico sia vivace e che anzi i convegni, i dibattiti e gli “agitatori polemici” siano anche troppi.
….

Ciascuno è concorrente e giurato e a proprio insindacabile giudizio può “nominate” (con spirito autocritico) anche se stesso (ovvio per quale categoria io potrei propormi).
Per la proclamazione del vincitore non mi è venuto in mente un premio che possa rappresentare un valido contrappasso (si accettano suggerimenti), forse si potrebbe proporr una tiratura in esclusiva (bandendo apposito concorsoper il soggetto) e, per ricollegarsi alle celebrazioni dell’Unità d’Italia, limitata a soli 150 esemplari:
150 numerati con cifre arabe
150 con cifre romane
150 con gli anni dal 1861 al 2011
inoltre non possono mancare
150 p.d’a.
150 p.d.s.
150 contrassegnate da lettere dell’alfabeto latino, greco, ebraico, cirillico… (fino a completamento)
150 con ideogrammi cinesi (nuovo mercato in espansione)
150 con antichi geroglifici egizi (omaggio alla tradizione)

Diffondete il bando del PREMIO PSYCHO per celebrare l’incisione che non è mai stata così viva e vegeta, anzi… anche troppo.

mercoledì 24 agosto 2011

PSYCHO ALLA 54ª BIENNALE DI VENEZIA

Max Klinger (Lipsia 1857-Grossjena 1920)
Simplicius am Grabe des Einsiedler
(Simplicio alla tomba dell'eremita)
Intermezzi tav. VIII
acquaforte, 1881














Quando capiterà un’altra occasione?
Quando capiterà che nel padiglione italiano della 54ª Biennale di Venezia siano invitati ad esporre circa duecento artisti? Il numero esatto non è dato saperlo poiché ho potuto constatare personalmente che i nomi presenti in mostra non sempre corrispondono con quelli elencati nel sito ufficiale della Biennale ed è facile prevedere che in futuro il numero di chi dichiarerà di essere stato presente o di aver rifiutato è destinato ad aumentare.
La formula adottata dal curatore Vittorio Sgarbi è nota e non occorre riassumerla, né mi interessa giudicarne ulteriormente la validità, gli esiti, i costi... circolano, ormai, numerose dicerie sui retroscena degli inviti, ma anche questo ormai non mi interessa punto.
Congratulazioni a chi ha avuto la grande occasione e pazienza per tutti gli altri:
quelli che l’hanno già avuta, ma vorrebbero essere sempre presenti;
quelli che l’avranno;
quelli che non saranno mai presi in considerazione perché non lo meritano;
quelli che non saranno mai presi in considerazione perché non si danno abbastanza da fare;….
Molti dubitano che si sia trattato di una “occasione”, né buona né grande, sostenendo che si notano di più quelli che mancano o che hanno rifiutato.
Il fatto che gli intellettuali interpellati non dovessero essere né esperti, né galleristi, né critici né curatori di mostre d’arte contemporanea (non del tutto vero poiché qualcuno dell’”ambiente” c’era) avrebbe dovuto sgombrare il campo dai pregiudizi che in questo Blog si sono spesso rilevati (vedi etichetta “Contemporaneamente”).
Tanto per non citare nuovamente il testo di presentazione nel catalogo della Biennale, riporto lo stralcio di una dichiarazione di Vittorio Sgarbi tratta da un’intervista raccolta da Cristina Baldacci e pubblicata sul numero 278 di “Artedossier”
«Il Padiglione Italia più che “illuminazioni” mostra una mappatura, la più veridica possibile, dello stato dell’arte nei primi dieci anni del nuovo millennio….
ho concepito una Biennale estesa in tutta Italia, che esca dai limiti di Venezia, presentando artisti anche nelle nostre regioni e città e negli Istituti italiani di cultura all’estero, e che coinvolga diversi generi: pittura, scultura, fotografia, design, ceramica, videoart, e grafica, a cui si possono aggiungere anche altre forme di creatività, di solito estranee alla Biennale, come la moda e la gastronomia.»
Appare chiaro (almeno fingiamo di credere che lo sia) come sono stati cooptati gli artisti presenti a Venezia, ma non conosco la procedura adottata per le “sezioni decentrate”. Mi sono giunti diversi comunicati stampa relativi a mostre che si dichiarano emanazione del “Padiglione Italia”, sembrerebbe che qualunque mostra aperta dal 4 giugno al 27 novembre, sia sotto l’egida della 54ª Biennale.
Esisterà un qualche attestato ufficiale che lo dimostri?
Ma pare vi sia di peggio, ovvero mostre regionali delle quali sono stati annunciati i partecipanti, ma che non sono mai state allestite.
Frattanto nel sito internet ufficiale della Biennale non risulta alcun riferimento a questa fantomatica “Biennale stesa in tutta Italia”.
Pare che fosse sufficiente proporsi e credo che non avrei avuto grosse difficoltà a contattare il curatore, o i suoi collaboratori, per concordare una mostra. Che non l’abbia fato io si può capire, mi stranizza che non sia venuto in mete di farlo a qualcuna delle varie associazioni che con facilità avrebbero potuto gestire l’evento.
Ovviamente il fatto che io non ne sia a conoscenza non esclude che non sia stato fatto e se qualcuno avesse maggiori notizie in proposito sarebbe utile saperlo.
Appare ovvia la difficoltà di girarsi tutta l’Italia per ricostruire la “mappatura, la più veridica possibile, dello stato dell’arte nei primi dieci anni del nuovo millennio”, in compenso a Venezia, come ormai ben sapete, ci sono andato.
Effettivamente visitando il “Paglione Italia” all’Arsenale c’è di tutto (quasi), nel senso che rispetto alle intenzione enunciate da Sgarbi manca solo la gastronomia e… l’incisione.
Tra coloro chiamati a segnalare l’artista vi erano poeti e letterati che con i loro testi hanno anche contribuito alla realizzazione di edizioni con incisioni originali, ma, forse, non se ne sono ricordati, d’altra parte erano chiamati a segnalare l’artista non la tecnica, infatti sono presenti in mostra dei “peintre-graveur”, validi incisori, qualcuno è di quelli che quando c’è (c’era) l’edizione di qualche cartella in ballo rivendicava le specifiche competenze e reclamava l’inserimento, ma non è certo con le loro incisioni che si sono presentati nelle sale dell’Arsenale o nelle sedi regionali distaccate.
Cosa se ne può dedurre?
Innanzitutto che se sono gli stessi artisti a considerare l’incisione subalterna rispetto alla loro stessa attività non vorrei più sentirne le lagnanze.
In secondo luogo bisogna rassegnarsi all’ipotesi che nessun artista-incisore (occorrerebbe aggiungere  “puro”, non è una definizione che amo, ma serve ad intendere quegli artisti che adottano l’incisione come esclusivo, o privilegiato, mezzo espressivo, insomma quelli che, anche volendo, non avrebbero altro da proporre se non incisioni) è ritenuto una significativa espressione “dello stato dell’arte nei primi dieci anni del nuovo millennio”.
Ogni altra ipotesi, che si potrebbe fare, equivale ad affondare il dito nella piaga aperta e dolorante.
Degli artisti partecipanti alle mostre allestite negli 89 Istituti di Cultura Italiani all’estero è stato pubblicato un catalogo e si può apprendere che vi sono due artiste che presentano incisioni, ma in verità ambedue d’italiano hanno soltanto il nome: Angela Cavalieri (Melburne 1962) è una nota artista australiana che realizza incisioni su linoleum, sulle cui stampe interviene con pittura ad olio, elaborando i caratteri della scrittura per il loro valore segnico; Maria Bonomi (Meira 1933) è un artista portoghese che realizza (anche) xilografie dal linguaggio informale.
Se in qualche altra sede distaccata della Biennale siano esposte incisioni, mi sarebbe di gran conforto apprenderlo, poiché adesso io mi sento come il personaggio di Psycho, il romanzo di Robert Block portato sullo schermo da Alfred Hitchcock, che impersona la madre defunta, fingendo che sia ancora in vita.
Non sono così presuntuoso da ritenermi il candidato più idoneo a quella parte, il ruolo da protagonista spetterebbe a qualche altro interprete ben più autorevole di me (innanzitutto tra gli artisti), ma io non mi sottraggo alla mia piccola responsabilità di nostalgico, anacronista sorpassato dai gusti e dalla cultura della “contemporaneità” almeno nei primi dieci anni del nuovo millennio.